La nostra parrocchia, a seguito dell’invito del nostro Vescovo, che ha convocato un’assemblea diocesana con metodo sinodale, per la Pentecoste del 2017 (3 giugno), si è interrogata sul senso dell’accoglienza, per avviare relazioni positive con i migranti e per i migranti.
Prima il 19 gennaio e poi il 19 marzo la comunità parrocchiale è stata invitata a confrontarsi su questo tema. Diverse decine di parrocchiani e qualche straniero hanno partecipato ai due momenti, fornendo ciascuno un piccolo contributo di idee e riflessioni.
In estrema sintesi, gli italiani e gli stranieri che hanno partecipato hanno detto (queste sono solo alcune delle tante suggestioni):
- Papa Francesco ci invita ad accogliere “Tutti coloro che si possono accogliere”. Dunque non ci si improvvisa salvatori e immedesimarsi nei bisogni e nelle vite di che arriva da noi ci chiede di fare un grande sforzo.
- l’accoglienza comincia sempre dal desiderio di relazione, che deve essere condiviso.
- la conoscenza della lingua e delle leggi sono fondamentali per l’inclusione
- la diffidenza da parte degli immigrati può sconfinare nell’arroganza: allora l’accoglienza è difficile
- si percepisce un clima diffuso di paura, chiusura e reazione ostile alimentato anche dall’informazione
- non sempre siamo un buon esempio di rispetto della legalità, perché, anche quando offriamo lavoro, spesso paghiamo salari inferiori al dovuto e proponiamo lavoro nero o precario
- accogliere le persone mette in discussione la nostra vita: c’è uno stile di vita “giusto”? Gli immigrati possono insegnarci qualcosa al riguardo?
- sarebbe opportuno creare opportunità di lavoro in ogni modo, magari promuovendo un passaggio di abilità da artigiani esperti e anziani verso i giovani immigrati volenterosi di imparare un mestiere. Ciò non garantirebbe loro di trovare un lavoro qui da noi, ma li terrebbe occupati e magari un giorno li aiuterebbe a tornare più intraprendenti nei loro paesi d’origine.
- anche alcune famiglie italiane stanno sperimentando l’esperienza dell’ “emigrazione” perché hanno figli che vivono all’estero, anche se con un titolo di studio e in condizioni ben diverse dai nostri immigrati
- molte di queste persone sono disposte a qualsiasi lavoro pur di sopravvivere. In agricoltura dilaga, anche da noi, il caporalato.
- l’accoglienza è per me moneta di scambio utile a creare una relazione.
- c’è solo una differenza tra noi e gli italiani: il colore della pelle
- noi siamo davvero migranti, migrante non è una parola brutta come intendono alcuni.
- l’informazione istituzionale non sempre aiuta, è necessario conoscere e far conoscere la storia e la realtà socio economica dei loro paesi
- per l’islam accogliere una persona straniera è una cosa buona, anche Maometto è stato un migrante
- le comunità di stranieri a volte si chiudono!
- io cerco di vedere nell’altro una persona e la mia fede mi chiede questo
- ho lasciato il mio paese da piccola, mi sento fortunata, grazie agli aiuti e so che non è facile anche per voi
- ora sto vivendo delle belle relazioni, mi manca una comunità, la comunità parrocchiale.
- quando ero nella roulotte mi sentivo più fortunato di chi non aveva nulla, ma non davo la colpa a voi che avete una casa; io cerco di aiutare come posso.
In definitiva, come parrocchia, e non come comunità politica, a cui spettano ben altri compiti, abbiamo riscontrato la necessità di costruire relazioni, per superare l’integrazione con la condivisione.
Con questo questionario vorremmo capire cosa fare di concreto, su chi possiamo contare e a chi può interessare quello che faremo.
Prima di rispondere alle domande guarda anche il video che racconta quello che abbiamo fatto fino ad oggi, sono solo 5 minuti, ne vale la pena… (vedi in fondo alla pagina)