Non guardare!
NON GUARDARE!
Mia madre ci diceva: “Non guardate, non guardate, occhi a terra”.
Non era per proteggere noi, era per proteggere lui, o lei, o loro: chiunque avesse una deformità, un difetto evidente, una menomazione fisica.
La sua voce era piena di allarme, ci metteva in agitazione perché non comprendere subito cosa volesse, era punizione sicura.
E per molto tempo non ho capito quale fosse il limite, il confine oltre il quale non ci era lecito guardare il corpo degli altri, provare curiosità per la forma di altri corpi.
In realtà, in quel modo non faceva che confermarci la frattura, la separazione definitiva tra la norma e l’eccezione, anche se i suoi intenti erano buoni (gli intenti buoni di mia madre hanno lastricato vari inferni e hanno sempre prodotto mostri, noi).
Infine, lo avevamo interiorizzato, ed entravamo in agitazione da soli, quando appariva qualcuno in sedia a rotelle, o con difetti o menomazioni fisiche evidenti.
Ce lo dicevamo da soli – c’è quel momento in cui la voce della madre diventa indistinguibile dalla tua, e non sai se sei tu o lei, ed è riuscita la deformazione definitiva, la menomazione definitiva.
Oggi io provo angoscia per il corpo degli altri, per il confine non scritto non segnato non detto.
I miei occhi diventano scivolosi, la voce di mia madre torna, potente, e mi fa tremare.
Io non riesco a guardare serenamente le Paralimpiadi, e me ne vergogno.
I pezzi mancanti, i corpi mozzi, scomposti, segnati, i corpi interrotti mi fermano il fiato, mi fanno chinare il capo, con una remota colpevolezza (“se li guardi li imbarazzerai”), con un remoto sollievo (“il tuo corpo non difetta, sei stata fortunata”), con una remota vergogna (“se registri la deformità sei spregevole, sei indegna”).
Questi atleti, queste atlete coraggiose e smaglianti, che gareggiano e festeggiano, hanno gesti di tale pienezza e forza che generano incanto, e io cerco di usarli come cura per il mio sguardo mutilato, imperfetto. Il mio sguardo sì, invalido.
Anna Mallamo
Facebook 4 settembre 2021