L’era della comunità infinita
da Avvenire 22/08/2021
(questo è un estratto; vai all’articolo integrale)
L’era della comunità infinita
di Luigino Bruni
Comunità è parola tornata centrale. Invocata nelle solitudini e nella malattia, cercata e agognata quando le ‘community’ virtuali ci hanno sfinito e sentiamo il bisogno di respirare. I suoi legami caldi e forti ci chiamano e non ci lasciano in pace. La comunità sta però cambiando forme così rapidamente da non riconoscerla (quasi) più.
La metamorfosi è in atto ovunque, ma è molto evidente nell’ambito delle religioni e nelle Chiese, che senza comunità muoiono per diventare sterile consumismo psicologico ed emotivo. È infatti all’interno delle Chiese e delle religioni dove più si avvertono la nostalgia e la malattia della comunità, dove si ode forte il suo grido di richiamo, il suo S.O.S., il suo urlo.
Qualsiasi futuro dell’esperienza spirituale e religiosa non può oggi fare a meno di ripartire da una profonda riflessione, onesta e radicale, sulla comunità, con il coraggio di spingerla fino alle sue estreme conseguenze. […]
Le vecchie e nuove comunità desiderose di futuro dovrebbero iniziare a prendere molto più sul serio l’urgenza di un cambiamento importante della vita comunitaria. E invece la fanno poco, credendo che il rinnovamento necessario consista in un ritorno al carisma dei primi tempi, o in una nuova radicalità spirituale. E così investono le poche energie residue in battaglie secondarie che poi diventano le uniche e quando le forze in campo sono poche, sbagliare battaglia diventa fatale.
Servono nuove forme di vita comunitaria. Ma non è semplice capirlo, perché la scarsa ‘domanda’ di vita comunitaria oggi proviene spesso da persone fragili in cerca di appartenenze forti, attratte dal ricordo delle comunità di ieri. Tuttavia, nel nuovo ecosistema spirituale del XXI secolo sopravvivono solo realtà più liquide e meno strutturate, decentrate e meno compatte (…).
La domanda cruciale allora diventa: è possibile dar vita a comunità composte da persone libere e autonome evitando però il disfacimento della comunità stessa? La domanda non è retorica, perché tocca il primo vulnus delle comunità di ieri, che per sopravvivere in quanto comunità dovevano ridurre l’autonomia dei propri membri.
[…] Liberamente ciascuno donava la propria libertà, che una volta donata non c’era più, come in tutti i doni veri, e quei doni finivano per costruire mura per ‘proteggere’ quei doni. Le comunità alzavano attorno alle loro persone barriere all’uscita molto alte. Così le persone entravano e quasi mai uscivano (se non a costi altissimi, per le donne insostenibili). Mura fisiche, spirituali e psicologiche, tanto che quella volta che la porticina restava aperta l’uccellino restava dentro la gabbia non avendo la forza di spiccare un volo in un mondo troppo ignoto, e magari da quella porta entrava il gatto.
Le comunità di oggi vivranno se abbasseranno le barriere fino ad azzerarle, trasformando le mura in ponti, perché sarà su quei ponti dove le nuove vocazioni potranno entrare.
C’è un urgente bisogno di una nuova povertà, quella che si esprime come rinuncia al possesso delle persone, la povertà più difficile da vivere nelle comunità, perché le persone sono l’unica loro ricchezza: e più si vive la povertà dei beni, più cresce la non-povertà delle persone.
Vivranno le comunità che sanno abitare sull’orlo del proprio precipizio (…). Facendo propria questa regola aurea: se vuoi avere persone generative, creative e libere devi generare una cultura dove le persone sono talmente libere da non poterle controllare negli aspetti più importanti della loro vita. Devi imparare a vivere in mezzo ad un grande via-vai di gente, in entrata e in uscita; perché generare persone libere significa metterle nelle condizioni di potersene un giorno anche andare via.
Le comunità, soprattutto quelle spirituali e ideali, dovrebbero porsi come loro obiettivo formare persone che non restino oggi per gli impegni presi ieri, ma per i sogni di domani. È il futuro, non il passato, lo spazio delle promesse capaci di liberare davvero le persone. Non si resta ricordando un passato che ci ha imprigionato ma immaginando un futuro che continua a liberarci e a liberare gli altri.