Bambini senza sacramenti

Famiglia Cristiana 19/01/2023

BAMBINI SENZA SACRAMENTI, OCCORRE UN CAMBIO DI PASSO

Un tempo anche le coppie sposate solo civilmente o conviventi davano modo ai figli di ricevere i sacramenti dell’iniziazione (Battesimo, Prima Comunione, Cresima). Oggi, invece, molti bambini non vengono nemmeno battezzati. Anche i miei nipoti (figli di mia figlia) non lo sono stati. Che fare? – NONNA ANNA MARIA

Risponde Don Tonino Lasconi

«Che fare?», Anna Maria, è la domanda che la Chiesa, in tutte le sue componenti, dai vescovi alla catechista della piccola parrocchia di montagna, si sta ponendo, e dovrebbe porsi con più profondità e incisività, perché quello che sta accadendo – tu hai citato un esempio molto significativo – è il passaggio sempre più evidente dalla fede per consuetudine a quella per convinzione. Questa mutazione, in atto da decenni, ha avuto un’accelerazione decisiva con il Covid. In questi due anni, quelli che continuavano stancamente la pratica religiosa e la celebrazione dei sacramenti (Matrimonio e iniziazione cristiana) per motivazioni più sociali (festa e regali) che di fede, si sono accorti che si sta bene anche senza sacramenti, senza catechismo, senza prediche, senza… E allora perché non farne a meno? Detto, fatto.

«Che fare?», chiedi tu. Non basta – lo si è visto e lo si vede – né spostare l’età di Comunione e Cresima verso l’alto o verso il basso né il ritorno nostalgico a quando «almeno il Padre Nostro e l’Ave Maria li sapevano tutti, e nelle chiese si pregava sul serio», né celebrazioni creative a favore di Facebook o performance da influencer piazzisti. Serve prendere sul serio quello che Paolo VI continua a ripetere inascoltato da cinquant’anni: «La evangelizzazione perde molto della sua forza e della sua efficacia se non tiene in considerazione il popolo concreto al quale si rivolge, se non utilizza la sua lingua, i suoi segni e simboli, se non risponde ai problemi da esso posti, se non interessa la sua vita reale» (Evangelii nuntiandi n. 63). Il “popolo” di oggi non è più neanche quello di qualche anno fa, e figuriamoci di quello di decenni fa.

Ciò richiede che tutte le energie spirituali e materiali siano impegnate a «tenere in considerazione questo popolo concreto», in modo che ascolti, si interroghi e scelga, risparmiandogli le stesse prediche, lo stesso approccio clericale, le stesse pratiche inutili, come affannarsi a trovare padrini e madrine non conviventi, non sposati soltanto civilmente, non divorziati, e per firmare attestati di idoneità per la parrocchia confinante. Purtroppo, si può e si fa.

Però, se vogliamo davvero annunciare il Vangelo, bisogna prendere di nuovo le misure e la bilancia. Pensa se si decidesse di dedicare agli adulti tutte le risorse che vengono spese per il catechismo dei bambini, abbandonando l’illusione di crescere piccoli cristiani e di “attirare” i genitori attraverso di loro, quando si può arrivare ai bambini soltanto con la testimonianza di una chiesa “di adulti” che li accoglie benevolmente. Intanto, però, nell’attesa di questa “conversione” cosa possiamo fare tu, io, e tutti quelli che hanno a cuore la fede in Gesù e una Chiesa viva?

Una cosa c’è: tendere con più decisione a una fede capace di confrontarsi serenamente e intelligentemente con i problemi di oggi. Anche con i figli e i nipoti non battezzati! Gesù assicura che tra strada, sassi e rovi c’è sempre uno spazio sorprendente di terreno buono. Hai visto mai!

I cantieri di Betania. Il Cammino sinodaIe continua.

Il documento della CEI per il secondo anno del Cammino sinodale (leggi)

La libertà sessuale dei ragazzi.

«La libertà sessuale dei ragazzi. Com’è difficile trovare le parole per parlarne»

Che cosa si può dire ad una ragazza di 18 anni che ti viene a raccontare, con libertà e forse con candore, che è andata a letto alcune volte con un suo coetaneo non per amore, ma per provare. Che dopo di ciò, non lo ha più cercato perché temeva che lui iniziasse a provare qualcosa per lei. E che non può dirlo ai suoi genitori perché, secondo lei, ne farebbero una tragedia esagerata?

Come suora che lavora in oratorio e prova a stare accanto agli adolescenti, mi sono sentita di richiamarla a un esercizio della sessualità più ragionato e meno banale, ma mi sono accorta che le mie parole risultavano stonate anche a me, perché non facevano presa su questa ragazza, per altre cose così matura e profonda.

Mi sembrava di ripetere qualcosa che sì, è giusto e riafferma un valore, ma forse non coglie qualcosa dei ragazzi di oggi. Io ho solo una decina di anni più di questa ragazza, ma stento a trovare le parole giuste. (suor Cristina)

 

risponde Fabrizio Fantoni, Psicologo e psicoterapeuta (su F.C. 8/2022)

Cara suor Cristina, è già un bene che questa ragazza sia venuta a parlarle, forse sentendo che avrebbe trovato in lei un’ascoltatrice attenta e sensibile, prima ancora che un adulto che dice la sua, anche a fin di bene.
Questa ragazza ha capito che lei l’avrebbe ascoltata fino in fondo, senza interromperla e senza dare giudizi. Perché solo con questo nostro silenzio senza interruzioni possiamo pensare che i ragazzi saranno poi disponibili ad ascoltare quanto gli diremo.
Perché questa adolescente è venuta a raccontarle la sua storia?
Forse per mettere ordine nei suoi pensieri, forse perché ha intuito che la comunicazione attraverso il sesso può attivare sentimenti ed emozioni intensi che vanno oltre il piacere fisico e la novità dell’esperienza. Tant’è che si è ritirata quando si è accorta che il ragazzo iniziava a sentire per lei un’attrazione non solo sessuale.
Proprio da questo forse si può partire per rendere più vicino a questa ragazza l’invito a una sessualità “meno banale”, come lei giustamente sottolinea.
I gesti del sesso sono “parole” forti e intense, rivolte a un’altra persona. Sono incontro con una persona fisicamente e mentalmente differente.
Che cosa voleva dire questa ragazza? Ha tenuto conto che quanto lei comunicava a quel ragazzo poteva diventare l’occasione per uno scambio profondo? Che in quei momenti guardarsi negli occhi apre una prospettiva più ampia che si può cogliere soltanto se lo scambio riguarda anche i sentimenti reciproci?
Allora con questa ragazza si può cercare di ricordare che il piacere provato, che sembra già grande, può esserlo molto di più se si colloca all’interno di una prospettiva di amore: una conoscenza profonda dell’altro, uno scambio di pensieri e di emozioni, una scelta reciproca, non confinata nello spazio angusto dei pochi giorni trascorsi insieme.
Allora forse si aprirà in questa ragazza una prospettiva differente: una disponibilità alla riflessione morale, una rinnovata profondità.

Ha 14 anni e non ci ascolta più

«HA 14 ANNI E NON CI ASCOLTA PIÙ. VORREMMO CHE ANDASSE DALLO PSICOLOGO»

Vorremmo che nostra figlia di 14 anni andasse da uno psicologo, perché non ci ascolta più. Da un anno circa non è più la stessa. Da bambina era brava e ci ubbidiva. Adesso invece è sempre nervosa, ci risponde male per ogni cosa. Non si riesce a farle fare niente in casa, anzi sembra che le sia tutto dovuto. Lascia in giro gli abiti, non distingue tra quelli usati sporchi e quelli lavati e stirati. Vuole solo uscire, o stare al cellulare tutto il giorno. Si veste come vuole lei, anche se noi genitori pensiamo che sia esagerata e non siamo d’accordo. Per non dire della scuola: è in prima superiore, ma non lo vediamo mai studiare. Forse uno psicologq. lo farebbe ragionare un po’. Lei cosa ne dice?  (LORENA)

risponde Fabrizio Fantoni, Psicologo e psicoterapeuta, 3 figli

Cara Lorena, innanzi tutto va chiarito che lo psicologo non è il prolungamento dei genitori, che può convincere un adolescente là dove i genitori non riescono a farsi ascoltare, perché ha un linguaggio o delle tecniche “speciali” e particolarmente convincenti.

Lo psicologo serve quando bisogna cercare il senso dei comportamenti, con l’adolescente e i suoi genitori.

Serve, ad esempio, per capire che cosa l’adolescente sta comunicando a mamma e papà, alla luce di un duplice movimento: da un lato, c’è la presa di distanza dall’infanzia, che appare contemporaneamente come un’età da superare nettamente per diventare grandi, ma anche come una specie di “età dell’oro” in cui si viveva più facilmente.

Da questo punto di vista, vostra figlia, anziché crescere, sembra regredire a una condizione in cui pensa nardsisticamente di poter ottenere tutto, come se fosse ancora “Sua Maestà il bambino”.

Dall’altro lato, c’è la crescita e la definizione della ragazza che vuole diventare aperta alle amicizie, con un carattere dominante.

Forse vostra figlia si immagina come una persona che non obbedendo ai genitori, è libera da ogni vincolo. Come se essere adulti significasse fare quel che si vuole.

È necessario, invece, chiarire che diventare adulti significa entrare in una logica di scambio, in cui si riceve per quel che si dà: a scuola, al lavoro e anche nelle relazioni. A partire dalla famiglia.

Se non si dà qualcosa, non si può ottenere ed è forse da questa considerazione che dovreste partire nel rivedere i vostri atteggiamenti educativi.

Che cosa state dando a vostra figlia, sul piano degli affetti e su quello della partecipazione alla vita di famiglia?
E che cosa le state chiedendo? Tutto questo è cambiato rispetto a quando era bambina, o siete ancora fermi a considerarla come tale?
Lo psicologo può entrare in questa dinamica come una figura “terza” per capire insieme a voi le dinamiche profonde in gioco e le resistenze al cambiamento.

Il compito di farvi ascoltare da vostra figlia, però, rimane vostro.

(tratto da Famigia Cristiana n.3/2022)

Imparare ad amarsi

Da: Messaggero di sant’Antonio dicembre 2021

«Cari Edoardo e Chiara, sono una giovane donna di 31 anni, fidanzata da sette. Vi scrivo perché da qualche mese io e il mio fidanzato abbiamo deciso di sposarci. Ovviamente in me prevale la gioia per un passaggio di vita così bello e importante, ma non vi nascondo che c’è anche un po’ di timore che le cose possano non andare bene. Le mie paure nascono un po’ perché in questi sette anni ci sono stati dei passaggi faticosi nella nostra relazione che in un’occasione, un paio di anni fa, ci avevano portato anche a lasciarci per poi decidere di riprovarci poche settimane dopo. A questo si è aggiunto che dei miei carissimi zii, che per me sono stati come dei secondi genitori, hanno da poco annunciato la loro separazione. Entrambi, ai miei occhi di nipote, erano delle persone mature e impegnate in parrocchia con un percorso di fede significativo. A oggi faccio fatica a credere che mio zio, persona pacata, di cultura e di fede, abbia deciso di lasciare mia zia per un’altra donna. A volte mi chiedo come mai certe coppie, apparentemente senza grandi sforzi, restino tutta una vita assieme, mentre altre no. Mi domando se sia una questione di fortuna, oppure se dipenda da una relazione più tranquilla in cui non si pretende troppo dal partner, o da altro ancora. Vorrei sapere, in vista della scelta di sposarmi, quali sono gli elementi che permettono di capire se una coppia può durare nel tempo». (Una lettrice)


La risposta di Edoardo e Chiara

Imparare ad amarsi

Cara lettrice, ci regali un’occasione d’oro per condividere alcune conoscenze che andrebbero gridate dai tetti dei palazzi delle nostre città, per diffonderle a quante più coppie possibile.

Per risponderti, attingeremo a piene mani dai risultati dei decenni di studi sulla relazione di coppia svolti dai coniugi Gottman (psicologi americani, che hanno dedicato la loro vita alla ricerca sulla relazione amorosa, incon­trando migliaia di coppie lungo gli anni).

Loro affermano che, sapendo a quali aspetti prestare attenzione, basta assistere a qualche minuto di discussione di una coppia che non si trova d’ac­cordo su una qualche questione, per predire, con quasi totale certezza, se quella relazione è desti­nata a finire o meno.

Si è visto, infatti, che l’alta probabilità di separazione in una coppia è dovuta alla presenza, durante i momenti di confronto, di uno o più dei «quattro cavalieri dell’apocalisse», cioè: critica, difesa, disprezzo, ostruzionismo.

 

  • Per critica si intende il lamentarsi, l’emettere giudizi sul proprio partner, il colpevolizzare in­vece che esprimere i propri sentimenti e bisogni in prima persona singolare, in modo propositivo. La persona che vive un’emozione spiacevole legata alla relazione dovrebbe dire i propri sentimenti, i propri bisogni affettivi e ciò che concretamente desidera che il partner faccia, invece che criticare.
  • Per difesa s’intende quel modo di auto-proteg­gersi assumendo il ruolo di vittima e indignandosi dell’altro, invece di assumersi responsabilmente anche solo una parte del problema. La relazione di coppia è il risultato di una collaborazione in cui ognuno di noi ha piccole o grandi responsabilità. È bene concentrarsi su queste, invece che identificarsi con il ruolo passivo e auto giustificante di vittima.
  • Il disprezzo è una forma più grave di critica, che nasce da una posizione di presunta superio­rità (questo è l’indicatore più grave di divorzio). L’antidoto al disprezzo è costruire, all’interno della coppia, una cultura dell’apprezzamento e del ri­spetto reciproco.
  • L’ostruzionismo è il ritiro emotivo dall’inte­razione: si verifica quando un partner è emotiva­mente distaccato, non condivide più, rimanendo chiuso nel proprio mutismo invece di imparare ad auto-consolarsi al fine di rimanere emotivamente connessa al proprio partner.

Ma tutto ciò non basta. Ci sono infatti ulteriori aspetti da tenere sempre presenti:

  • Esprimere la rabbia a livello comportamentale, diventando aggressivi, non ha un effetto calmante, anzi, alimenta ulteriormente il vissuto di rabbia in sé e nell’altro, innescando una catena di reazioni sempre più violente.
  • Le buone relazioni di coppia non sono quelle in cui si trovano soluzioni ai problemi, ma quelle in cui i membri continuano a parlarne e riman­gono emotivamente disponibili. Si è calcolato che, solitamente, il 69 per cento dei problemi di coppia sono irrisolvibili, perché legati a differenze radicate. Quindi conta di più la capacità di ricon­nettersi emotivamente, che non quella di evitare di litigare.
  • In una relazione in cui si sta bene vi è una espressione di apprezzamenti e sentimenti posi­tivi in proporzione di 5 a 1 rispetto alle critiche e ai sentimenti negativi.

Cara lettrice, molti altri sono i dati empirici che ci offrono i coniugi Gottman, e ovviamente non possiamo elencarli tutti, ma ti auguriamo che tu insieme al tuo futuro marito possiate scoprire cosa funziona e cosa non funziona nella vostra relazione e umilmente mettervi in apprendistato dell’arte di amare ed essere amati.

Non ci si sposa perché ci si ama, ma per imparare ad amarsi.

Edoardo e Chiara Vian

            Messaggero di sant’Antonio dicembre 2021

 

 

Confidenze di una mamma (di un figlio scout)

Oggi mio figlio prende la Partenza, e io ho nel cuore un groviglio di emozioni che non so districare.

In questi 10 anni ho fatto anch’io un cammino, e mentre lui imparava a fare lo zaino, io cercavo di svuotare il mio. Non è stato facile, non lo è stato per niente. Ho dovuto svuotarlo dall’ansia di vederlo partire, di non poterlo sentire al telefono se non saltuariamente e velocemente.

Ho dovuto sopportare l’angoscia di ogni hike (escursione), e per fortuna l’ho sempre saputo dopo, quando oramai la cosa era fatta,  lui era sano e salvo.

Ho dovuto restare zitta e fare un passo indietro davanti a certe decisioni dei capi che non capivo e non condividevo.

Ho dovuto spogliarmi di quella convinzione per cui noi genitori dobbiamo essere l’unico punto di riferimento nell’educazione dei nostri figli, e accettare che altri intervenissero, decidessero, consigliassero. E ho capito col tempo che questa era una ricchezza grande, un aiuto, soprattutto nell’età in cui i genitori non si ascoltano “a prescindere”.

Ho dovuto trasportare adolescenti maleodoranti al ritorno dal campo, tenendo i finestrini aperti anche in pieno inverno, vincere il ribrezzo degli insetti al momento di svuotare lo zaino (operazione da fare rigorosamente sul balcone!), perdere il conto dei calzini persi, di mutande sconosciute, di magliette inutilmente etichettate, di un sacco a pelo finito chissà dove…

Ho imparato a cucinare un dolce per la colazione di tutti la domenica mattina, perché le cose si fanno per tutti e non solo per tuo figlio, e questa in verità è una cosa bellissima …

In questo zaino vuoto ho infilato la fiducia nei capi, ai quali ho affidato mio figlio, la cosa più preziosa che ho. Lui è stato fortunato, perché ha trovato gente in gamba, ma io all’inizio non lo sapevo.

E poi la gratitudine per la loro passione, per l’impegno, per lo sguardo attento, per l’ascolto, per le parole dette, per i cazziatoni, per le pacche sulle spalle anche quando le cose non erano proprio precise, per l’ostinazione che li porta a provarci sempre, ancora una volta, e poi ancora …

E alla fine ho messo nel mio zaino la fierezza di essere la madre di uno scout.

Sì, la fierezza. Perché guardo mio figlio e guardo come sta crescendo, e guardo i suoi amici… E sono tutti così belli che ti danno fiducia nel domani, e li senti vivi, vibranti, anche quando fanno gli scemi, e vedi che sono come fratelli, che hanno il coraggio di donarsi, di sporcarsi le mani, di raccontarsi uno all’altro, di aprire il cuore con la certezza di essere ascoltati e custoditi. Perché davanti al fuoco, sotto le stelle, durante il cammino, nella fatica e nella difficoltà di impegnarsi, si sono scambiati le vite, le paure, le stanchezze… ma anche le risate, i giochi incomprensibili per noi “gente normale”, i racconti di imprese che diventano ogni volta più eroiche e inverosimili…. e questa intimità è un collante potente, è famiglia…

Qualche tempo fa mi ha detto che gli servivano nuovi scarponi e io, mentre cucinavo dandogli le spalle, gli ho risposto distrattamente che sì, potevamo comprarli, ma sarebbe stato un peccato spendere dei soldi per un altro paio di uscite. “Ma io continuo, mamma”, mi ha detto, come se fosse cosa scontata. L’ho abbracciato forte, gli ho detto che ero tanto contenta, ma quando è uscito dalla cucina ho cominciato a piangere con il cuore che mi scoppiava di gioia.

Ci speravo tanto, avevo pregato tanto, ma lui questo non doveva saperlo perché dovevo lasciarlo libero (e comunque avrebbe deciso lui) …

Io non so quale sarà la sua strada, non so quale sarà il senso che darà alla sua vita. Ma oggi sono felice, e fiera di quello che negli anni è diventato, grazie al lavoro che sta facendo su se stesso, e grazie ad ognuno di voi, che non lo avete mollato mai…

Spero che sia capace di darsi al prossimo, di amare e servire, che per me è l’essenza dell’essere cristiani, e che sia capace di trasmettere quello che ha ricevuto, con generosità, passione, gioia.

Spero che questa resti la sua famiglia, che incontri persone belle, che faccia esperienze forti, e che impari a volare alto quando le cose saranno difficili, e i rapporti complicati.

Grazie, comunque vadano le cose nei prossimi anni. Perché avete aiutato anche me a crescere, o almeno a provarci.


pubblicato sulla pagina FB Fedeli e ribelli

Non sento più nulla

Carissimi Edoardo e Chiara, permettetemi di entrare subito nell’argomento con una domanda precisa: che cosa dire a chi vuole separarsi perché “non sento più nulla”? Lo dicono sempre più spesso e nemmeno con dispiacere, ma come una cosa normale, una evoluzione del rapporto di coppia quasi inevitabile, e io rimango sempre stralunata di fronte a questa superficialità. Non che non capisca il problema, ma è come viene affrontato dalle coppie anche sposate in chiesa che mi stupisce e mi dispiace tanto non poter far nulla per loro, magari perché non vogliono neppure un aiuto. Grazie per la vostra risposta. (Una lettrice)


Carissima lettrice, la tua domanda ci muove un tumulto di riflessioni al punto tale che servirebbe un libro per poterle ben distendere. Proviamo comunque a tracciare alcuni elementi utili alla risposta e, per farlo, ci rivolgeremo direttamente nel nostro discorso a una di quelle persone cui tu fai riferimento nel tuo scritto: utilizzeremo il maschile per questione di brevità, ma è chiaro che le stesse cose si possono declinare anche al femminile.

Caro amico che dici di non avvertire più alcun sentimento per tua moglie, questo tuo «non sento più nulla» presuppone che ci sia stato un tempo in cui qualcosa l’hai sentito, e allora è chiaro che il sentire (e in ugual modo il non sentire di oggi) è solo un indizio che rimanda ad altro, non una prova che constata una situazione immutabile.

La domanda che pone questa tua mutevolezza emotiva è: che cosa si è frapposto tra quel prima, in cui sentivi, e l’adesso in cui non senti più? Questo richiede un’esplorazione, un’indagine.

Quali parole sono venute meno, quali gesti, quali sguardi, quali attenzioni, affinché quel capitale d’amore che era stato donato a te e a tua moglie si è dilapidato? Amico, è come se tu avessi ereditato un’azienda florida, che produceva guadagno, e ora ti ritrovassi ad avere costanti perdite del tuo capitale. La realtà ti sta chiedendo di dare un nome a quelle scelte che hanno portato a questa inversione di tendenza.

Se comprendi quali siano stati i fattori che, con la loro presenza o la loro assenza, hanno promosso l’inversione, potresti (e potreste) decidere non solo di prendere atto dell’attuale situazione, ma di operare un intelligente e mirato cambiamento per reinvertire il vostro trend emotivo/affettivo, riportando tra di voi, gradualmente, una nuova abbondanza.

Caro amico, proprio la mutabilità del tuo sentire attuale ti racconta della caducità degli stati emotivi. Se nei giorni della giovinezza della tua relazione hai toccato i vertici della piacevolezza, e oggi ne constati la piattezza, non ci potrebbe essere davanti a te un futuro di nuove emozioni, ancora tutte da vivere? Un domani che porta con sé tutta quella saggezza che solo chi ha conosciuto sia l’alto che il basso può avere come premio?

Come scriveva Christiane Singer in un suo magnifico libriccino, tutti gli alberi da frutto durante l’inverno assomigliano più a scope di saggina con il manico piantato a terra, che a quello che solitamente i nostri occhi riconoscono come albero. Se cedessimo alla logica dei sensi, potremmo dire che l’unica cosa sensata da fare sia tagliarli. Ma se avremo la pazienza di aspettare, le leggi della natura hanno previsto qualcosa di irragionevole, riportare in vita quello che sembrava ormai morto, e potremmo ancora godere di germogli, fiori e frutti.

Caro amico, come sosteneva Stephen Mitchell, una parte di noi cerca una «casa» sicura nella quale stabilirsi placidamente e, quando finalmente l’abbiamo costruita, un’altra parte di noi comincia a percepirla come una prigione. Siamo tutti ambivalenti: da una parte costruiamo nidi caldi e sicuri, dall’altra vorremmo affrancarcene per la libertà del volo. Anche tu, caro marito, insieme al tuo matrimonio siete caduti in questa trappola. Il desiderio di sicurezza si è trasformato in stabilità, la quale è divenuta quotidianità, che si è poi mutata in una ripetitività che è sfociata nell’apatia del cuore. Ora vuoi altre terre da esplorare, vuoi risentire l’adrenalina del cuore e ti capisco.

Ma la vera domanda è: serve davvero un’altra sposa o un altro sposo per tutto questo? Se la danza del tuo matrimonio ti ha mummificato il cuore, non è forse necessario cambiare coreografia e musica e non ballerina?

Ti lascio con le domande che contano, quelle su cui puoi fondarti o rifondarti: di fronte al tuo «non sentire», chiediti che uomo vuoi essere: uno che constata la morte o uno che desidera far risorgere? Di fronte alla sfida di fare nuove le cose vecchie, come ti vuoi porre? Vuoi essere un disertore o un temerario che non fugge dalla sua battaglia? Qui, in questa crisi, è in gioco non la fine, ma il fine, il tuo fine ultimo. In che direzione ti vuoi dirigere, verso il basso o verso l’alto?

Caro amico, tutti noi ti sosteniamo e facciamo ammenda per non averlo fatto prima. Ci vergogniamo di non aver sostenuto, incoraggiato e promosso il bene del tuo amore come potevamo. Ora siamo qui, però, e se ci vorrai al tuo fianco in questa risurrezione non mancheremo di esserci, per come vorrai.

Cara lettrice, nell’auspicio di esserti stati di aiuto, ti abbracciamo. Continua anche tu a tentare di portare speranza nel cuore delle persone: l’inverno prima o poi finisce e una nuova primavera arriverà.

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Edoardo e Chiara Vian
nella rubrica: Vivere insieme – Parliamo di famiglia
Messaggero di sant’Antonio, giugno 2021

Tu aspetti tutti

TU ASPETTI TUTTI

 

Signore, nessuno vive tanto nell’attesa come te!

Nella tua misericordia tu aspetti tutti:

quelli che sono lontani e quelli che sono vicini.

Quelli che dicono “sì” e quelli che dicono “no”.

Quelli pronti prima del tempo e quelli che procrastinano.

Il figlio prodigo che ritorna come un mendicante e il fratello maggiore che lo incolpa.

Quelli che avvertono la tua presenza nei passaggi più comuni della vita e quelli che solcano i suoi corridoi infiniti accumulando sempre più silenzio e domande.

Quelli che ti ricordano a ogni momento, e gli indifferenti.

Quelli che ti vedono nella certezza e quelli che per i quali il tuo mistero si compara ai frammenti di un enigma sparsi e indecifrabili.

Quelli che riconoscono le tue tracce indiscutibili e quelli che non ti trovano da nessuna parte.

Quelli che nel ripetere il tuo nome percepiscono lo spuntare del giorno e quelli che si sentono proiettati ancor di più nello sconforto della notte.

Quelli che ti chiamano per nome e quelli per i quali sei dolorosamente innominabile.

Davvero, Signore, tu sei in attesa di tutti.

Di quanti ti cercano con ansia e di quanti non s’interrogano mai.

Di quanti ogni giorno ti pregano «Vieni, Signore!» e di coloro per i quali la preghiera è una ferita silenziosa, una convulsione, un tormento o una rivolta.

È bello sapere che, nell’immensità della tua attesa traboccante di compassione, ciascuno è ancora in tempo per la speranza.

 


di: José Tolentino Mendonça
su Avvenire 28 novembre 2020 – Rubrica “Pregare a occhi aperti”