Confidenze di una mamma (di un figlio scout)

Oggi mio figlio prende la Partenza, e io ho nel cuore un groviglio di emozioni che non so districare.

In questi 10 anni ho fatto anch’io un cammino, e mentre lui imparava a fare lo zaino, io cercavo di svuotare il mio. Non è stato facile, non lo è stato per niente. Ho dovuto svuotarlo dall’ansia di vederlo partire, di non poterlo sentire al telefono se non saltuariamente e velocemente.

Ho dovuto sopportare l’angoscia di ogni hike (escursione), e per fortuna l’ho sempre saputo dopo, quando oramai la cosa era fatta,  lui era sano e salvo.

Ho dovuto restare zitta e fare un passo indietro davanti a certe decisioni dei capi che non capivo e non condividevo.

Ho dovuto spogliarmi di quella convinzione per cui noi genitori dobbiamo essere l’unico punto di riferimento nell’educazione dei nostri figli, e accettare che altri intervenissero, decidessero, consigliassero. E ho capito col tempo che questa era una ricchezza grande, un aiuto, soprattutto nell’età in cui i genitori non si ascoltano “a prescindere”.

Ho dovuto trasportare adolescenti maleodoranti al ritorno dal campo, tenendo i finestrini aperti anche in pieno inverno, vincere il ribrezzo degli insetti al momento di svuotare lo zaino (operazione da fare rigorosamente sul balcone!), perdere il conto dei calzini persi, di mutande sconosciute, di magliette inutilmente etichettate, di un sacco a pelo finito chissà dove…

Ho imparato a cucinare un dolce per la colazione di tutti la domenica mattina, perché le cose si fanno per tutti e non solo per tuo figlio, e questa in verità è una cosa bellissima …

In questo zaino vuoto ho infilato la fiducia nei capi, ai quali ho affidato mio figlio, la cosa più preziosa che ho. Lui è stato fortunato, perché ha trovato gente in gamba, ma io all’inizio non lo sapevo.

E poi la gratitudine per la loro passione, per l’impegno, per lo sguardo attento, per l’ascolto, per le parole dette, per i cazziatoni, per le pacche sulle spalle anche quando le cose non erano proprio precise, per l’ostinazione che li porta a provarci sempre, ancora una volta, e poi ancora …

E alla fine ho messo nel mio zaino la fierezza di essere la madre di uno scout.

Sì, la fierezza. Perché guardo mio figlio e guardo come sta crescendo, e guardo i suoi amici… E sono tutti così belli che ti danno fiducia nel domani, e li senti vivi, vibranti, anche quando fanno gli scemi, e vedi che sono come fratelli, che hanno il coraggio di donarsi, di sporcarsi le mani, di raccontarsi uno all’altro, di aprire il cuore con la certezza di essere ascoltati e custoditi. Perché davanti al fuoco, sotto le stelle, durante il cammino, nella fatica e nella difficoltà di impegnarsi, si sono scambiati le vite, le paure, le stanchezze… ma anche le risate, i giochi incomprensibili per noi “gente normale”, i racconti di imprese che diventano ogni volta più eroiche e inverosimili…. e questa intimità è un collante potente, è famiglia…

Qualche tempo fa mi ha detto che gli servivano nuovi scarponi e io, mentre cucinavo dandogli le spalle, gli ho risposto distrattamente che sì, potevamo comprarli, ma sarebbe stato un peccato spendere dei soldi per un altro paio di uscite. “Ma io continuo, mamma”, mi ha detto, come se fosse cosa scontata. L’ho abbracciato forte, gli ho detto che ero tanto contenta, ma quando è uscito dalla cucina ho cominciato a piangere con il cuore che mi scoppiava di gioia.

Ci speravo tanto, avevo pregato tanto, ma lui questo non doveva saperlo perché dovevo lasciarlo libero (e comunque avrebbe deciso lui) …

Io non so quale sarà la sua strada, non so quale sarà il senso che darà alla sua vita. Ma oggi sono felice, e fiera di quello che negli anni è diventato, grazie al lavoro che sta facendo su se stesso, e grazie ad ognuno di voi, che non lo avete mollato mai…

Spero che sia capace di darsi al prossimo, di amare e servire, che per me è l’essenza dell’essere cristiani, e che sia capace di trasmettere quello che ha ricevuto, con generosità, passione, gioia.

Spero che questa resti la sua famiglia, che incontri persone belle, che faccia esperienze forti, e che impari a volare alto quando le cose saranno difficili, e i rapporti complicati.

Grazie, comunque vadano le cose nei prossimi anni. Perché avete aiutato anche me a crescere, o almeno a provarci.


pubblicato sulla pagina FB Fedeli e ribelli

Non sento più nulla

Carissimi Edoardo e Chiara, permettetemi di entrare subito nell’argomento con una domanda precisa: che cosa dire a chi vuole separarsi perché “non sento più nulla”? Lo dicono sempre più spesso e nemmeno con dispiacere, ma come una cosa normale, una evoluzione del rapporto di coppia quasi inevitabile, e io rimango sempre stralunata di fronte a questa superficialità. Non che non capisca il problema, ma è come viene affrontato dalle coppie anche sposate in chiesa che mi stupisce e mi dispiace tanto non poter far nulla per loro, magari perché non vogliono neppure un aiuto. Grazie per la vostra risposta. (Una lettrice)


Carissima lettrice, la tua domanda ci muove un tumulto di riflessioni al punto tale che servirebbe un libro per poterle ben distendere. Proviamo comunque a tracciare alcuni elementi utili alla risposta e, per farlo, ci rivolgeremo direttamente nel nostro discorso a una di quelle persone cui tu fai riferimento nel tuo scritto: utilizzeremo il maschile per questione di brevità, ma è chiaro che le stesse cose si possono declinare anche al femminile.

Caro amico che dici di non avvertire più alcun sentimento per tua moglie, questo tuo «non sento più nulla» presuppone che ci sia stato un tempo in cui qualcosa l’hai sentito, e allora è chiaro che il sentire (e in ugual modo il non sentire di oggi) è solo un indizio che rimanda ad altro, non una prova che constata una situazione immutabile.

La domanda che pone questa tua mutevolezza emotiva è: che cosa si è frapposto tra quel prima, in cui sentivi, e l’adesso in cui non senti più? Questo richiede un’esplorazione, un’indagine.

Quali parole sono venute meno, quali gesti, quali sguardi, quali attenzioni, affinché quel capitale d’amore che era stato donato a te e a tua moglie si è dilapidato? Amico, è come se tu avessi ereditato un’azienda florida, che produceva guadagno, e ora ti ritrovassi ad avere costanti perdite del tuo capitale. La realtà ti sta chiedendo di dare un nome a quelle scelte che hanno portato a questa inversione di tendenza.

Se comprendi quali siano stati i fattori che, con la loro presenza o la loro assenza, hanno promosso l’inversione, potresti (e potreste) decidere non solo di prendere atto dell’attuale situazione, ma di operare un intelligente e mirato cambiamento per reinvertire il vostro trend emotivo/affettivo, riportando tra di voi, gradualmente, una nuova abbondanza.

Caro amico, proprio la mutabilità del tuo sentire attuale ti racconta della caducità degli stati emotivi. Se nei giorni della giovinezza della tua relazione hai toccato i vertici della piacevolezza, e oggi ne constati la piattezza, non ci potrebbe essere davanti a te un futuro di nuove emozioni, ancora tutte da vivere? Un domani che porta con sé tutta quella saggezza che solo chi ha conosciuto sia l’alto che il basso può avere come premio?

Come scriveva Christiane Singer in un suo magnifico libriccino, tutti gli alberi da frutto durante l’inverno assomigliano più a scope di saggina con il manico piantato a terra, che a quello che solitamente i nostri occhi riconoscono come albero. Se cedessimo alla logica dei sensi, potremmo dire che l’unica cosa sensata da fare sia tagliarli. Ma se avremo la pazienza di aspettare, le leggi della natura hanno previsto qualcosa di irragionevole, riportare in vita quello che sembrava ormai morto, e potremmo ancora godere di germogli, fiori e frutti.

Caro amico, come sosteneva Stephen Mitchell, una parte di noi cerca una «casa» sicura nella quale stabilirsi placidamente e, quando finalmente l’abbiamo costruita, un’altra parte di noi comincia a percepirla come una prigione. Siamo tutti ambivalenti: da una parte costruiamo nidi caldi e sicuri, dall’altra vorremmo affrancarcene per la libertà del volo. Anche tu, caro marito, insieme al tuo matrimonio siete caduti in questa trappola. Il desiderio di sicurezza si è trasformato in stabilità, la quale è divenuta quotidianità, che si è poi mutata in una ripetitività che è sfociata nell’apatia del cuore. Ora vuoi altre terre da esplorare, vuoi risentire l’adrenalina del cuore e ti capisco.

Ma la vera domanda è: serve davvero un’altra sposa o un altro sposo per tutto questo? Se la danza del tuo matrimonio ti ha mummificato il cuore, non è forse necessario cambiare coreografia e musica e non ballerina?

Ti lascio con le domande che contano, quelle su cui puoi fondarti o rifondarti: di fronte al tuo «non sentire», chiediti che uomo vuoi essere: uno che constata la morte o uno che desidera far risorgere? Di fronte alla sfida di fare nuove le cose vecchie, come ti vuoi porre? Vuoi essere un disertore o un temerario che non fugge dalla sua battaglia? Qui, in questa crisi, è in gioco non la fine, ma il fine, il tuo fine ultimo. In che direzione ti vuoi dirigere, verso il basso o verso l’alto?

Caro amico, tutti noi ti sosteniamo e facciamo ammenda per non averlo fatto prima. Ci vergogniamo di non aver sostenuto, incoraggiato e promosso il bene del tuo amore come potevamo. Ora siamo qui, però, e se ci vorrai al tuo fianco in questa risurrezione non mancheremo di esserci, per come vorrai.

Cara lettrice, nell’auspicio di esserti stati di aiuto, ti abbracciamo. Continua anche tu a tentare di portare speranza nel cuore delle persone: l’inverno prima o poi finisce e una nuova primavera arriverà.

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Edoardo e Chiara Vian
nella rubrica: Vivere insieme – Parliamo di famiglia
Messaggero di sant’Antonio, giugno 2021

Tu aspetti tutti

TU ASPETTI TUTTI

 

Signore, nessuno vive tanto nell’attesa come te!

Nella tua misericordia tu aspetti tutti:

quelli che sono lontani e quelli che sono vicini.

Quelli che dicono “sì” e quelli che dicono “no”.

Quelli pronti prima del tempo e quelli che procrastinano.

Il figlio prodigo che ritorna come un mendicante e il fratello maggiore che lo incolpa.

Quelli che avvertono la tua presenza nei passaggi più comuni della vita e quelli che solcano i suoi corridoi infiniti accumulando sempre più silenzio e domande.

Quelli che ti ricordano a ogni momento, e gli indifferenti.

Quelli che ti vedono nella certezza e quelli che per i quali il tuo mistero si compara ai frammenti di un enigma sparsi e indecifrabili.

Quelli che riconoscono le tue tracce indiscutibili e quelli che non ti trovano da nessuna parte.

Quelli che nel ripetere il tuo nome percepiscono lo spuntare del giorno e quelli che si sentono proiettati ancor di più nello sconforto della notte.

Quelli che ti chiamano per nome e quelli per i quali sei dolorosamente innominabile.

Davvero, Signore, tu sei in attesa di tutti.

Di quanti ti cercano con ansia e di quanti non s’interrogano mai.

Di quanti ogni giorno ti pregano «Vieni, Signore!» e di coloro per i quali la preghiera è una ferita silenziosa, una convulsione, un tormento o una rivolta.

È bello sapere che, nell’immensità della tua attesa traboccante di compassione, ciascuno è ancora in tempo per la speranza.

 


di: José Tolentino Mendonça
su Avvenire 28 novembre 2020 – Rubrica “Pregare a occhi aperti”