Da circa due mesi la nostra comunità accoglie una famiglia di rifugiati seguendo l’invito di papa Francesco a riconoscere in loro la Santa famiglia di Nazaret nel momento in cui è costrett a a farsi profuga per poter sopravvivere. Molte le domande che sono state rivolte in merito ai volontari direttamente coinvolti in questa iniziativa nota col nome di “Parrocchia accogliente”. Le riportiamo con le risposte, affinché tutti i parrocchiani partecipino a questa bella esperienza. In un prossimo articolo speriamo di riuscire a dar voce direttamente alla famiglia che abbiamo accolto.
Come siete riusciti ad attuare l’esortazione di papa Francesco così rapidamente?
Roberto – Il merito è dei parroci della nostra zona pastorale che già a novembre hanno deciso di aderire alla richiesta del papa e alla Caritas diocesana che ha elaborato il progetto di accoglienza dei profughi. Don Paolo ha subito presentato il progetto al Consiglio Pastorale e, data l’approvazione immediata, ha reperito un appartamento idoneo in affitto e comunicato alla Caritas la nostra disponibilità ad accogliere una famiglia di profughi.
E’ stato difficile trovare volontari? Quante persone sono coinvolte in questo progetto?
Mirella – I volontari si sono offerti subito e hanno aderito con entusiasmo coinvolgendo a loro volta altre persone. Attualmente siamo una ventina, ognuno con un compito specifico perché l’organizzazione è necessaria: Roberto è il coordinatore responsabile, poi c’è chi si occupa della burocrazia, chi dell’aspetto medico-sanitario, chi dell’insegnamento della lingua italiana, chi della amministrazione, chi della spesa, dei trasporti e della cura della casa. Comunque, nonostante i tempi di crisi, reperire i fondi, la casa e tutto quanto occorreva per questa accoglienza ci ha fatto sperimentare che c’è ancora tanta solidarietà!
Roberto – Abbiamo visto agire la Provvidenza: tutto quello che ci è servito è arrivato spesso accompagnato da un sorriso. Tempo, risorse, competenze si sono coagulate, forse con qualche sacrificio, ma sicuramente con tanta gioia.
E poi, eccoli qua!
Dyella – Il cinque marzo è stata una giornata che non dimenticheremo! Finalmente il nostro entusiasmo ha incontrato questa bella famiglia giovane, di origine sudanese. Kaled è il papà, Almaz la mamma, Samar e Asil sono le due bimbe. Il loro sorriso scampato a tante grandi difficoltà ha ripagato da subito il nostro impegno. Li abbiamo accolti con un ricco aperitivo dove abbiamo condiviso molte emozioni, oltre al cibo.
Quali sono le maggiori difficoltà che avete incontrato e quali problemi vi trovate ad affrontare?
Martina – Abbiamo subito capito che l’ostacolo da rimuovere immediatamente è quello linguistico. Almaz conosce l’inglese, oltre alla lingua etiope e all’arabo, mentre Kaled parla solo arabo. Questo significa che la moglie deve spesso tradurre al marito ciò che noi diciamo e per lui questo è frustrante. Attualmente io e Mary cerchiamo di insegnare loro nel modo più semplice possibile la nostra lingua e loro sono molto volenterosi, ma il percorso è lungo. Per fortuna Valentina si presta spesso a tradurre dall’arabo e inoltre da qualche giorno Kaled ha cominciato anche un corso di base ed è uno studente modello.
Manuela – Da mamma, non posso fare a meno di riconoscere in loro l’inesperienza dei miei figli e quindi mi prendo cura degli aspetti pratici della vita quotidiana. Attraverso questi piccoli gesti stiamo costruendo un rapporto di affetto e fiducia e spero che presto, superata la fase del bisogno, siano in grado di poter esprimere a parole, come già fanno con i gesti, tutte le belle qualità che hanno.
Mary – Tra qualche mese, quando il progetto terminerà, dovranno camminare con le loro gambe, quindi la mia preoccupazione è di far capire loro cosa sia veramente importante per farcela ed essere autonomi. Alle volte resto spiazzata da alcune loro ingenuità spesso generate dall’immagine distorta e dorata che danno i mass media della nostra società. Come gruppo cerchiamo di far capire loro che anche qui, seppure a riparo da guerre e carestie, vivere onestamente e con dignità è una sfida quotidiana. Così li informiamo sui costi dei vari beni e dei servizi, spieghiamo loro quanto sia difficile il mondo del lavoro, insomma cerchiamo di renderli consapevoli delle fatiche che li attendono perché siano pronti ad affrontarle.
Come è organizzata la loro giornata?
Samuele – Al mattino hanno lezione di italiano o a casa o a scuola. Samar è stata subito inserita alla scuola materna ed è stato un vero successo. Noi ci alterniamo in modo da accompagnarli nei diversi giri presso medici e uffici, oppure li aiutiamo a risolvere le piccole difficoltà quotidiane. Ma se non ci sono particolari incombenze, stiamo in loro compagnia e giochiamo con le bimbe che sono irresistibili!
Giorgia – Mentre hanno imparato subito a fare la spesa, devono impratichirsi con i mezzi pubblici così l’altra mattina l’abbiamo dedicata a questo. Mentre Kaled già sfreccia in bici per le strade di Rimini, Almaz dovrà imparare… insomma non ci annoiamo!
Cosa vi sta insegnando questa esperienza?
Mirella – Che non bisogna mai temere le differenze perché siamo stati fatti a Sua immagine e somiglianza, quindi ognuno di noi svela un aspetto dell’amore infinito che ci ha voluti qui.
Roberto – Che la gioia vera consiste più nel dare che nel ricevere, perché dando si diventa veramente più ricchi. Di umanità, si intende, e non è poco.