domenica 23 gennaio 2022
La Chiesa che vorrei, una parrocchia in cammino sinodale
Nella festa di san Gaudenzo, titolare della nostra parrocchia, prima della messa solenne celebrata in piazza, abbiamo distribuito un foglietto, con un’immagine della nostra chiesa e una domanda cui rispondere per iscritto: “La parrocchia che vorrei”, con l’invito “siate lieti nella speranza!”. È stata una ragazza a suggerire l’idea, che ha sorpreso tutti ed ha riscosso attenzione e ampia risposta.
È così iniziato nella parrocchia il cammino sinodale, che ora sta proseguendo secondo le indicazioni della Diocesi, con tutta la Chiesa in Italia.
Perché un cammino sinodale?
Perché la Chiesa è nella storia: in un mondo che cambia, si pongono problemi nuovi anche alla Chiesa. La Chiesa non rimane alla finestra, ma deve essere capace di dare risposte adeguate alle domande che provengono da situazioni nuove.
La diminuzione dei preti, dei fedeli che partecipano regolarmente alla messa domenicale, dei matrimoni “religiosi”, dei giovani che frequentano la comunità… sono segnali di una situazione che è profondamente cambiata.
Anche fra coloro che “frequentano” la chiesa, notiamo comportamenti che ci interrogano. Facciamo alcuni esempi. I genitori battezzano i figli (francamente non è facile sapere se lo fanno tutti) ma poi non pochi di loro non si curano di alimentare la vita cristiana che il battesimo ha generato. Anche tra coloro che iscrivono i figli al catechismo, diversi si limitano a “mandarli”, ma non camminano con loro.
Già alla messa domenicale sono latitanti. Accettano il catechismo e i sacramenti come una specie di rito sociale, senza condividerne personalmente i contenuti.
E i bambini, che scrutano sempre gli occhi dei genitori, capiscono che il catechismo è un percorso senza seguito: si deve fare, perché lo fanno tutti, ma non è importante. Un bambino riferiva ai genitori l’incontro di catechismo, sul sacramento del perdono; ai genitori chiese a bruciapelo: “Ma voi andate a confessarvi?”. L’imbarazzo dei genitori fu la più eloquente delle risposte.
Il bambino tace, ma nella sua mente si chiede: “Perché mi fate fare quello in cui non credete?”. Non c’è da stupirsi se i sacramenti della cresima e della prima comunione, anche amministrati con serietà e preparati con tanto impegno, non abbiano seguito.
La Chiesa sta diventando, per molti battezzati, un’istituzione estranea alla vita quotidiana, erogatrice di “servizi religiosi”, una specie di self service: la messa per chi ci vuole andare, il catechismo per i bambini, la caritas per i poveri, il campeggio per gli adolescenti… È andato in crisi il modello pastorale che vigeva in tempo di “cristianità”, quando non solo i gesti sacramentali e aggregativi, ma anche i valori cristiani erano condivisi nel sentire comune.
La Chiesa deve rimodulare la vita stessa della comunità, la sua azione pastorale e missionaria. Ogni parrocchia ne avverte l’esigenza.
Sinodo, cioè interrogarsi insieme, pastori e fedeli: leggere insieme i segni dei tempi, della situazione reale, dei suoi aspetti positivi e di quelli problematici; valutarli alla luce della fede in Gesù; individuare le soluzioni più adeguate.
Un percorso che è anche uno stile nuovo per la vita delle nostre comunità, già imboccato, per altro, con l’istituzione dei consigli pastorali, frutto del Concilio Vaticano II.
“Fare sinodo” non significa interrompere la vita per pensare scelte migliori per il futuro. Mentre viviamo, nella gioia e nella fatica di ogni giorno, la vita e gli impegni della nostra comunità, ci interroghiamo “insieme”, senza accontentarci del “si è sempre fatto così”.
Anche se il Sinodo della Chiesa in Italia ha tappe e tempi definiti, quello sinodale è uno stile che non ha un termine, ma che definisce un modo di essere e di vivere la vita della Chiesa.
Non è formale l’invocazione dello Spirito santo: è Lui il protagonista della vita della Chiesa!
don Aldo Amati