Mese di Maggio
Riflessioni quotidiane
Riflessioni quotidiane
Raccogliendo la proposta e la sollecitazione di tanti fedeli, la Conferenza Episcopale Italiana affida l’intero Paese alla protezione della Madre di Dio come segno di salvezza e di speranza. Lo farà venerdì 1° Maggio, alle ore 21, (seguiamo in TV) con un momento di preghiera, nella basilica di Santa Maria del Fonte presso Caravaggio (diocesi di Cremona, provincia di Bergamo).
“FATE QUELLO CHE VI DIRA’”
“Fate quello che vi dirà”, sono le ultime parole di Maria nel Vangelo, poi lei scompare dietro le parole del Figlio, non parlerà più. Sono il suo testamento, e come ogni testamento deve essere una legge carissima per i figli, per ogni figlio. Poi non parlerà più! E cosa poteva dire di più forte! Fate tutto quello che lui ha detto. Fate il Vangelo, fate cose da Vangelo, fatelo tutto intero.
Per vivere il Vangelo dobbiamo decidere di prenderlo in mano, di leggerlo, meditarlo, per riuscire a capire in quale Dio crediamo quando affermiamo: “Io credo in Dio”. E quello che cercheremo di fare in queste sere di maggio in cui ci ritroviamo a pregare con il Rosario e a meditare su alcuni passi del Vangelo aiutati dalle riflessioni del teologo Paolo Curtaz.
La Parola accolta può suscitare in noi una conversione profonda e radicale, come ci ricorda la lettera agli Ebrei (4,12): Infatti la parola di Dio è viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio; essa penetra fino al punto di divisione dell’anima e dello spirito, fino alle giunture e alle midolla, e discerne i sentimenti e i pensieri del cuore.
E Gesù e venuto per svelarci il vero volto di Dio, il volto del Padre. Un Dio che va verso la pecora perduta. A noi non resta che farci prendere in braccio. “Se non diventerete come bambini, non entrerete…”. Il Padre rallenta il suo passo sul ritmo del nostro, impolvera i suoi piedi sulle nostre strade. E’ il Dio della Bibbia che abbrevia il suo passo sulla misura del nostro, dentro la polvere dei nostri sentieri.
Ti ringrazio, Signore,
perché vieni sull’asinello e non sui cherubini,
vieni nell’umiltà non nella grandezza.
Vieni nelle fasce non nell’armatura di un guerriero,
vieni nella mangiatoia non nelle nubi del cielo,
fra le braccia di tua Madre
non sul trono della tua maestà.
Vieni verso di noi e non contro di noi,
vieni per salvare non per giudicare,
per visitarci nella pace non per condannare nel furore.
Se vieni così, Signore Gesù,
invece di fuggirti noi corriamo verso di te.
“SIMONE IL LEBBROSO”
Dal Vangelo di Luca (7,36-50): “Uno dei farisei lo invitò a mangiare da lui. Egli entrò nella casa del fariseo e si mise a tavola. Ed ecco, una donna, una peccatrice di quella città, saputo che si trovava nella casa del fariseo, portò un vaso di profumo; stando dietro, presso i piedi di lui, piangendo, cominciò a bagnarli di lacrime, poi li asciugava con i suoi capelli, li baciava e li cospargeva di profumo. Vedendo questo, il fariseo che l’aveva invitato disse tra sé: “Se costui fosse un profeta, saprebbe chi è, e di quale genere è la donna che lo tocca: è una peccatrice!”.
Gesù allora gli disse: “Simone, ho da dirti qualcosa”. Ed egli rispose: “Di’ pure, maestro”. “Un creditore aveva due debitori: uno gli doveva cinquecento denari, l’altro cinquanta. Non avendo essi di che restituire, condonò il debito a tutti e due. Chi di loro dunque lo amerà di più?”. Simone rispose: “Suppongo sia colui al quale ha condonato di più”. Gli disse Gesù: “Hai giudicato bene”. E, volgendosi verso la donna, disse a Simone: “Vedi questa donna? Sono entrato in casa tua e tu non mi hai dato l’acqua per i piedi; lei invece mi ha bagnato i piedi con le lacrime e li ha asciugati con i suoi capelli. Tu non mi hai dato un bacio; lei invece, da quando sono entrato, non ha cessato di baciarmi i piedi. Tu non hai unto con olio il mio capo; lei invece mi ha cosparso i piedi di profumo . Per questo io ti dico: sono perdonati i suoi molti peccati, perché ha molto amato. Invece colui al quale si perdona poco, ama poco”. Poi disse a lei: “I tuoi peccati sono perdonati”.
Allora i commensali cominciarono a dire tra sé: “Chi è costui che perdona anche i peccati?”. Ma egli disse alla donna: “La tua fede ti ha salvata; va’ in pace!”.
Questo testo rivela la grandezza interiore del Signore Gesù, la sua attenzione verso gli ultimi, la sua compassione e libertà, la sua capacità di mettere in discussione le persone senza offenderle. E’ la storia di un pranzo finito in malo modo, di una situazione imbarazzante che, pure, Gesù affrontò con straordinaria capacità. L’irruzione della prostituta del paese durante il pranzo nella casa di un ricco fariseo crea uno scompiglio che possiamo immaginare…
Noi seguiremo il percorso di Simone, il ricco fariseo che invita il Maestro di Nazareth, personaggio solo apparentemente marginale.
“LO INVITO’ A PRANZO”
“Uno dei farisei lo invitò a pranzo”.
Veniamo a sapere solo nel prosieguo del racconto che il padrone di casa si chiama Simone, l’unico fariseo, insieme a Nicodemo nel Vangelo di Giovanni, ad essere chiamato per nome. Matteo nel suo Vangelo(26,6) “Mentre Gesù si trovava a Betania, in casa di Simone il lebbroso…”, ci dice che Simone è stato malato di lebbra, ha conosciuto il dramma di una malattia devastante, ripugnante, che isola dalla società, vista da molti come una punizione divina.
Perché lo invita? Nel testo non viene specificato, ma possiamo farci un idea. Gesù non è ben visto dai farisei: lo accusano di essere un popolano senza cultura, di trasgredire i precetti della legge orale e in più di un occasione si erano scontrati con lui come possiamo leggere nel Vangelo di Luca: “Perché fate in giorno di sabato quello che non è lecito?…Voi farisei pulite l’esterno del bicchiere e del piatto, ma il vostro interno è pieno di avidità e cattiveria…Guai a voi farisei, che amate i primi posti nelle sinagoghe e i saluti sulle piazze…”. Forse Simone vuole trarlo in inganno, tendergli una trappola, non sarebbe la prima volta. O forse, Simone vuole dimostrare ai suoi compagni di fede di avere una mente aperta, che non giudica qualcuno senza prima avere indagato a fondo la sua posizione come ci ricorda il Vangelo di Giovanni: “La nostra Legge giudica forse un uomo prima di averlo ascoltato e di sapere ciò che fa?” Gesù è un profeta o no? Simone vuole chiarire personalmente la questione.
Senza forzare la Parola, si ha l’impressione, leggendo, che Simone sia molto attento all’apparenza, al giudizio, a ciò che dice la gente. Gesù accetta l’invito, senza problemi. Non è classista, non c’è l’ha con i farisei, non fa di tutta l’erba un fascio. Partecipa al pranzo, come farà in altre occasione, Luca (11,37) “Mentre stava parlando, un fariseo lo invitò a pranzo. Egli andò e si mise a tavola”. Luca (14,1) “Un sabato si recò a casa di uno dei capi dei farisei per pranzare ed essi stavano ad osservarlo. Ma partecipa da uomo libero, quale è. Gentile, ma non servile. Non ha paura di intervenire davanti alle situazioni di ingiustizia.
“ED ECCO”
Tutto sembra procedere per il verso giusto. Ma arriva il colpo di scena. “Ed ecco”. Con grande abilità narrativa Luca fa entrare in scena una donna evidentemente non invitata. La conoscono tutti, è una donna del villaggio, la prostituta del villaggio. Ha saputo che c’è il Nazareno ospite di Simone il lebbroso, entra, senza chiedere permesso, non ha paura delle conseguenze del suo gesto. Si accovaccia dietro, ai piedi del Signore. Piange. Le sue lacrime bagnano i piedi di Gesù. I suoi capelli li asciugano. Bacia i piedi. Li unge con l’olio che ha portato con sè.
Luca descrive l’accaduto senza intervenire, senza aggiungere, senza commentare. Ma per chi conosce bene la Scrittura, per un ebreo, per un fariseo, quella scena è sconcertante, sconveniente, oscena. Toccare i piedi, baciare i piedi, asciugare i piedi. Tre volte viene ripetuto il termine piedi. Lavare i piedi nella Scrittura, è un eufemismo per indicare il rapporto sessuale. Dal Secondo libro Samuele(11,8) “Poi Davide disse a Uria:”Scendi a casa tua e lavati i piedi”. La donna compie gesti di seduzione, entra con i capelli sciolti. Le donne ebree velavano il capo, fin dalla pubertà. I capelli sciolti erano una potente arma di seduzione, dal libro di Giuditta(16,8) “…cinse i suoi capelli con un diadema e indossò una veste di lino per sedurlo”. Solo il marito li poteva accarezzare. Solo le prostitute tenevano i capelli sciolti.
Questa donna usa l’unico linguaggio che ha, che la rende visibile agli occhi degli uomini. Condannate a prostituirsi, come molte altre bambine abbandonate per strada e raccolte dai mercanti di schiavi, non ha avuto alcuna scelta, alcun affetto, alcuna attenzione. Gesù lo sa bene. Non vede malizia o seduzione in quei gesti. Vi legge un immenso dolore, tanto desiderio di bene, tanta solitudine. Quelle lacrime, silenziose, sincere, danno un interpretazione ben diversa a quello che sta succedendo. Gesù vede solo un disperato bisogno di amore in quel gesto. Non cosi Simone.
“SE FOSSE UN PROFETA”
Il gelo è piombato nella casa, una situazione che suscita immenso imbarazzo. Tutti tacciono, Simone pensa. E non pensa male, non è malizioso. Non avanza insinuazioni sulla condotta del Maestro, ma sul suo carisma profetico. Lasciarsi toccare da una prostituta, una donna impura, significa contrarre l’impurità. Quindi, evidentemente, Gesù non sa che tipo di donna sia questa, altrimenti non si lascerebbe nemmeno sfiorare. Quindi non è un profeta. Gesù, invece si lascia toccare e amare da quella donna. Lei ne ha bisogno più di tutti.
Il ragionamento di Simone, tipico di certe persone, tipico di noi credenti di lungo corso che rischiamo di vivere in mondi chiusi, ovattati, autoreferenziali, dà per scontato che l’impurità si trasmette, che contagi. E che non esista un contagio al contrario, la trasmissione della salvezza. Ha uno schema mentale. Puro e impuro, buono e cattivo, sacro e profano, giusto e sbagliato. Al centro mette la norma, la regola, la casistica. Giudica la donna. Giudica Gesù. Tutto è chiaro, ora. Certamente Gesù non è un profeta. Io sono come il fariseo, sinceramente. Avanzo per stereotipi, per pregiudizi. Mi rassicurano, identificano chi ho davanti, semplificano il mondo e le relazioni. Destra, sinistra. Italiano, straniero. Nord, Sud. Uomo, donna. Vecchio, giovane. Protestante, cattolico. Etero, o no. Tutto torna, le persone vengono incasellate. Credo di sapere cosa pensa un vecchio uomo di destra del Sud, etero e cattolico. O una giovane donna straniera. O… Non ho la mente libera. Bado molto all’apparenza. E anche al giudizio degli altri su di me. Figuriamoci. No, non sono libero. Meno male che Gesù mi scuote.
“SIMONE, HO QUALCOSA DA DIRTI”
Gesù lo chiama per nome. Il ricco ora ha un nome: Simone. E’, anzitutto, Simone. Prima di essere un fariseo, un lebbroso guarito, un ricco, uno attento alle apparenze, una persona che giudica. E’ Simone, e a Simone, Gesù chiede di giudicare Simone.
“Maestro dì pure”. Gesù gli parla di un fatto di cronaca, semplice, banale. Ci sono due debitori, uno deve al creditore un anno e mezzo di stipendio. Un altro un decimo di quella cifra. Da una parte diciamo ventimila euro, dall’altra duemila euro. Il creditore decide di condonare il debito, visto che nessuno ha di che saldarlo. Anzi di graziare entrambi. Ha a che fare con la grazia, con la gratuità, con la generosità, quel gesto. Non è dovuta quella decisione, non è nemmeno prevista.
Gesù chiede a Simone: “Chi dei due lo amerà di più. Chi sarà più felice”. Ovvio: Colui che aveva un debito maggiore. Simone è interdetto. Dove sta la fregatura? La sua risposta esprime la perplessità: “Ritengo sia colui al quale ha condonato di più”. La risposta è evidente. Perché questa domanda? Si tiene sul vago, ammette che ci siano altre possibilità. Dovrebbe essere palese, ma evidentemente qualcosa gli sfugge. Sta imparando qualcosa di nuovo. Che, al di là delle apparenze, ci sono verità profonde. Ha chiamato Gesù Maestro. E Gesù, da buon maestro, forse con un pizzico di ironia, lo valuta: “Hai giudicato rettamente”. Bene, bravo, sette più.
“SIMONE, VEDI QUESTA DONNA”
Gesù invita Simone a fare ciò che non ha saputo fare: “Vedi questa donna?”. No non l’ha proprio vista, finora. Affatto. Ha visto una prostituta, ha visto gesti ambigui. Ha visto, inorridito, che Gesù si è lasciato toccare da lei. Ha visto tutto, salvo l’essenziale. C’è una persona davanti a lui. Quella che Gesù indica è una donna, ha una storia, delle emozioni, dei sentimenti. La sua vita, i suoi errori, il suo dolore, il suo stesso peccato, sono subalterni a questa prima, assoluta, totalizzante epifania: esiste.
Il maestro ora argomenta. Abitualmente, quando un ospite di riguardo entra in casa, il padrone lo invita a sedersi e i servi di casa porgono l’acqua in un catino perché vi si rinfreschi i piedi impolverati, poi lo accoglie con un bacio di benvenuto e a indicare l’amore di averlo suo ospite, lo unge con qualche goccia di olio profumato sul capo. Simone non ha fatto niente di tutto ciò. La donna, invece, ha lavato i piedi di Gesù con le sue lacrime, e li ha asciugati con i suoi capelli, li ha unti con il profumo, in segno di rispetto e venerazione. Gesù ha letto quei gesti come espressione d’amore.
Gesù invita Simone a purificare il suo sguardo. E’ stato educato, Simone. Ha fatto quello che doveva. La donna, no. Ha strafatto e questo, Gesù, lo chiama amore. Gesù vede sempre al di là delle apparenze, guarda nel profondo di ciascuno di noi. La prudenza, il senso di giustizia, la devozione di Simone sono diventati una gabbia che gli impediscono di vedere il cuore. La lebbra non ha cambiato il cuore di Simone. Forse, ora, l’incontro con il Signore cambierà qualcosa in lui.
“HA MOLTO AMATO”
Ora si tratta di concludere: “Perciò, io ti dico: i suoi molti peccati le sono perdonati, perché ha molto amato; ma colui a cui poco è perdonato, poco ama”. Cambia prospettiva il Signore. Esce dalla casistica, esce dal piccolo recinto sacro di Simone. Se l’incontro con Dio ha a che fare con l’amore, questa donna ha dimostrato un amore che Simone non ha espresso in alcun modo. Anzi, per essere precisi, c’è una magnifica diatriba fra gli esegeti. La donna ama perché è stata perdonata? O è perdonata perché ama. A voi la scelta.
Probabilmente sono vere entrambe le cose. I suoi molti peccati sono perdonati come puoi vedere dal fatto che ha molto amato, si potrebbe tradurre. E, allora, l’amore della donna è effetto del perdono gratuito che ha ricevuto. O, anche, i molti peccati le sono perdonati, perciò ha molto amato. Una cosa è certa: tale amore è effetto e causa del perdono: in quanto perdonata, ama, come risposta al perdono; in quanto ama, è aperta ad accogliere il perdono che è la forma più grande dell’amore.
Quando si entra nel linguaggio dell’amore, anche nella fede, passione e perdono si inseguono. Ci si sente amati e si cambia vita. Ricevendo il perdono impariamo ad amare. Imparando ad amare siamo capaci di accogliere e donare il perdono. Un magnifico circuito virtuoso che approda alla piena conoscenza di Dio. L’incontro con Dio usa il linguaggio degli affetti, delle emozioni, dei cambiamenti radicali, delle passioni, degli eccessi. Non quello della regola, della misura, della norma, del giudizio, del bilancino. Quando lo capiremo?
“I TUOI PECCATI”
Simone il lebbroso ora ha tutti gli elementi per capire. E, forse, per cambiare, per svoltare definitivamente pagina. Chissà. L’epilogo del racconto si concentra sulla donna. Non ha detto nulla. Non ha chiesto nulla. Ha solo agito assecondando il potente flusso del suo amore e del suo cuore. Gesù non le ha chiesto nulla. Sono i gesti ad avere parlato. Gesti che Gesù, pur potendolo, non ha interpretato in maniera equivoca. Poi disse alla donna: “I tuoi peccati sono perdonati”.
Luca, da grande scrittore, usa un verbo di tempo perfetto che, in greco, prolunga l’azione. Gesù le dice: “I tuoi peccati sono stati perdonati, sono perdonati e rimangono perdonati”. Il perdono di Dio è definitivo. Inappellabile. Irrevocabile. Dio non si pente mai di aver donato il suo perdono. Mai. Anche quando non lo viviamo, anche quando lo gettiamo alle ortiche. L’uomo è incline al male, lascia parlare la sua ombra, dona il peggio di sèe. E Dio lo precede con il suo perdono, con il suo amore, che lo spinge al cambiamento, alla conversione.
Nessuna lista di adempimenti per meritare il perdono. Nessuna. L’amore di Dio è gratuito: Lo so, lo so. C’è sempre qualcuno che, quando lo dico o lo scrivo, ogni volta, obietta che così è troppo facile. E che Dio diventa un inutile bonaccione. Come se dicessi: poiché la persona che frequento mi ama alla follia e si fida di me posso tradirlo quanto voglio… Complimenti! Dio ama a prescindere. Se vi dicessi: se ti comporti bene, Dio ti ama e ti dona il suo perdono, che buona notizia sarebbe? Il Vangelo dice: Dio ti ama e, sperimentando il suo amore, trovi la forza di cambiare vita. Un po’ troppo. Lo so. Pendetevela con Gesù, non con me.
“EPILOGO”
Tutto un po’ troppo vero. La gente è scossa, giusto. Anch’io. Quelli che erano a tavola con lui, cominciarono a dire in loro stessi: “Chi è costui che perdona anche i peccati?”. Bella domanda, visto che tutti sanno bene che solo Dio perdona i peccati. E Gesù non da nessuna risposta, come non l’ha data agli emissari di Giovanni Battista, incarcerato a Macheronte, dubbiosi sulla vera identità del Nazareno. Dal Vangelo di Luca (7,19-23) “…Giovanni li mandò a dire al Signore: “Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?…riferite a Giovanni ciò che avete visto e udito: i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciata la buona notizia.”
Basta vedere che cosa è accaduto per avere una risposta. La gente ora vede cos’è il perdono. Si rivolge ancora alla donna, un’ultima volta. “La tua fede ti ha salvata; va in pace” In questi gesti Gesù ha visto la fede profonda di questa donna. Un bel progresso, non c’è che dire: da peccatrice, a donna, a donna felice. Solo Dio riesce a operare cambiamenti di questa portata.
La legge (Simone) aveva invitato Gesù, ma è il peccatore che lo ha accolto, perché si è sentito accolto e perdonato. E fra la prostituzione della donna, condannata per nascita a quell’infamia, e la prostituzione di Simone, che pensa di pagarsi la salvezza osservando i precetti e giudicando chi non li osserva, forse c’è una similitudine.
Manca il lieto fine, l’ammonizione consolatrice e liberatoria, la simpatica tiratina d’orecchi. Come con la donna adultera in Giovanni: “Vai e d’ora in poi non peccare più”. Non lo dice, il Signore. Non dipende da questa povera donna praticare o meno la prostituzione. Forse troverà una soluzione, forse, proprio nel gruppo dei discepoli o delle discepole che lo seguono, si rifarà una vita. Ma Gesù, per ora, la invita ad aprirsi all’amore che sta ricevendo, senza aggiungere altro. Un passo alla volta.
“LA FOLLA”
Iniziamo questa sera una riflessione su come Gesù vede la folla, la folla che lo circonda, che lo esalta, che lo condanna.
Dal Vangelo di Luca (23,48) “Cosi pure tutta la folla che era venuta a vedere questo spettacolo, ripensando a quanto era accaduto, se ne tornava battendosi il petto”. Gesù è un personaggio pubblico, di grande fascino, autorevole, un rabbino che suscita, soprattutto in Galilea, l’entusiasmo della gente. Il Nazareno ha una missione: annunciare alle folle l’autentico volto di Dio, il volto del Padre misericordioso. Così facendo attira a sé prima alcuni discepoli poi, con il passa parola, migliaia di persone affascinate dalla sua predicazione e dai suoi miracoli.
Il termine folla raffigura uno strano concetto: è più della somma dei singoli, nel nostro immaginario collettivo, attrae e inquieta. Nel secolo scorso, folle oceaniche sono state protagoniste dei destini del mondo, radunate e aizzate per sostenere un ideologia, un dittatore, una guerra. Sono le folle, di fatto, ad aver cambiato la storia del mondo. La folla può trasformarsi in un drago impazzito, perché il gruppo può degenerare in branco assetato di sangue. La singola persona vede travolta la sua individualità, cambia idea, si fa trascinare, pensa che il pensiero della maggioranza sia migliore della propria opinione. Necessaria, ma ingestibile, la folla è strumento indispensabile per qualsiasi cambiamento sociale o politico che sia. Porta in paradiso o precipita all’inferno.
Nei Vangeli leggiamo che proprio il giudizio della folla è all’origine della fama iniziale di Gesù e della sua disgrazia finale, fino alla crudele morte in croce. Eppure, sempre nei Vangeli, inaspettatamente, il giudizio sulla folla è sorprendente. Perché a leggere con attenzione i testi, gli evangelisti teorizzano una sorta di redenzione della folla, la possibilità di una conversione di un intero gruppo sociale. Straordinario.
“FOLLA CHE APPLAUDE” (1)
La folla come immaginiamo, è inizialmente protagonista positiva nella vita pubblica di Gesù. Il popolo ascolta con passione le sue parole, la sua fama si diffonde: Dal Vangelo di Luca (5,15) “Di lui si parlava sempre di più, e folle numerose venivano per ascoltarlo e farsi guarire dalle loro malattie”.
Gesù è consapevole del suo ruolo, della sua missione, accoglie le persone che giungono da ogni luogo. Dal Vangelo di Matteo (4,25) “Grandi folle cominciarono a seguirlo dalla Galilea, dalla Decapoli, da Gerusalemme, dalla Giudea e da oltre il Giordano”.
Gesù è intenerito dalla loro presenza, si occupa di loro, li sfama con la Parola, li sazia insegnando a condividere il poco che hanno perché sono come pecore senza pastore. Dal Vangelo di Marco (6,34): “Sceso dalla barca, egli vide una grande folla, ebbe compassione di loro, perché erano come pecore che non hanno pastore, e si mise a insegnare loro molte cose”.
Chiunque di noi intuisce che dietro alla fama che circonda Gesù ci sono ragioni non troppo nobili: molti lo cercano per la sua fama di guaritore, per i miracoli che gli vengono attribuiti. Eppure il Maestro, supera le apparenze, vede in quel movimento, anche se non sempre originato dal desiderio di una sincera conversione, l’elemosina di una risposta, il desiderio profondo di un senso, l’inquietudine che tutti ci abita, l’afflato di un oltre e di un altrove. Non fa un processo alle intenzioni, il Signore: accoglie, ascolta con sguardo benevolo, non severo, non malizioso, affatto giudicante. Sa bene che la gente lo cerca per un tornaconto immediato, una guarigione, un miracolo. Eppure, nonostante questo, non respinge nessuno: cerca di far crescere, di motivare, di indirizzare la folla verso una conversione profonda.
“LA FOLLA CHE APPLAUDE” (2)
Continuiamo la riflessione iniziata ieri sera. Quante volte accade la stessa cosa nelle nostre comunità cristiane; molti, ancora, bussano alle porte delle nostre chiese spinti da mille motivazioni, non sempre spirituali! Abitudine, tradizione, una certa pigrizia mentale, il cristianesimo rappresenta per molti un punto di riferimento, ma, spesso, superstizione o superficialità indeboliscono una fede basata più sulla religiosità popolare che sull’annuncio evangelico.
E siamo tentati, noi discepoli di lungo corso, umilmente convinti di essere maggiormente motivati, di avere una fede più salda e corretta, di guardare con sufficienza questi fratelli e sorelle. Di sentirci obbiettivamente diversi, custodi di una fede più adulta, feconda, consapevole…
Come fa il Maestro, invece, siamo chiamati ad accogliere, a non giudicare, ad avere uno sguardo benevolo sulle persone che bussano alla nostra porta, chiunque esse siano. Quanto mi piacerebbe poter scrivere con verità all’ingresso delle nostre chiese: Vieni, chiunque tu sia! Quanto è difficile, oggi, trovare luoghi di accoglienza e di ascolto, di condivisione e di assenza di giudizio!
Il desiderio di Dio che abita ogni uomo permane, anche se sepolto da mille sollecitazioni: Storditi dalle troppe informazioni, aggressivi, vittimisti, gli uomini di oggi continuano, comunque, a portare nella profondità infinita delle loro umanissime vicende la scintilla di Dio. Quella che siamo chiamati a individuare, a far emergere in loro e in noi. Come ha saputo fare Gesù.
“L’ASPETTO OSCURO DELLA FOLLA”
La luna di miele con la folla è destinato a finire. Gesù suscita molte speranze. Dal Vangelo di Giovanni (6,14): “Allora la gente, visto il segno che egli aveva compiuto , diceva: Questi è davvero il profeta, colui che viene nel mondo”. Ma, con il passare del tempo, le folle si accorgono che la situazione non cambia: i romani occupano la terra di Israele, Gesù stesso, invece di sollevare il popolo, fa strani discorsi sul perdono; dal Vangelo di Luca (6,27-29): “Ma a voi che ascoltate, io dico:amate i vostri nemici, fate del bene a quelli che vi odiano, benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi trattano male. A chi ti percuote sulla guancia, offri anche l’altra, a chi ti strappa il mantello, non rifiutare neanche la tunica”.
Rifiuta di essere proclamato re, pronuncia discorsi incomprensibili e duri, da allontanare molti discepoli. No, non è lui il Messia, si dimostra un abbaglio, una delusione. Gesù non cambia idea, non cerca di piacere alla folla, non cerca consensi, non corre dietro agli umori dell’opinione pubblica; sceglie di andare avanti; dal Vangelo di Luca (9,51): “Mentre stavano compiendosi i giorni in cui sarebbe stato elevato in alto, egli prese la ferma decisione di mettersi in cammino verso Gerusalemme”.
La folla si rende conto dello spessore spirituale e umano del falegname proclamatosi maestro che, con la sua stessa presenza scuote, interroga, inquieta. Dal Vangelo di Matteo (21,10-11): “Quando Gesù fu entrato in Gerusalemme, tutta la città fu scossa, e si diceva: “Chi è costui? E le folle dicevano: Questi è Gesù, il profeta che viene da Nazareth di Galilea”. Nulla di buono viene da Nazareth, come è possibile che da quel luogo provenga un profeta? Chi è sul serio costui? Il Nazareno, pone degli interrogativi, infastidisce, costringe a schierarsi.
Anche oggi di fronte alle novità ci chiudiamo, preferiamo rimanere nel guscio protetto delle nostre convinzioni senza doverci continuamente interrogare o confrontare. La presenza di Gesù pone continuamente degli interrogativi, noi preferiamo tapparci le orecchie per non lasciarci scuotere dalla sua presenza.
“LA FOLLA OMICIDA”
Gesù è diventato un vero problema e l’ultima cosa di cui ha bisogno Gerusalemme è una rivolta; Caifa intuisce che è meglio che un uomo solo muoia piuttosto che rischiare l’intervento dei romani. Il Sinedrio ha bisogno della sentenza romana. Il procuratore Ponzio Pilato deve essere convinto, manipolato, spinto a concedere tale condanna. Perciò la folla va arringata, spinta, aizzata. E ciò avviene. Dal Vangelo di Marco (15,8-14): “La folla, che si era radunata, cominciò a chiedere ciò che egli era solito concedere. Pilato rispose loro: Volete che io rimetta in libertà per il re dei Giudei? Sapeva infatti che i capi dei sacerdoti glielo avevano consegnato per invidia. Ma i capi dei sacerdoti incitarono la folla perché, piuttosto, egli rimettesse in libertà per loro Barabba. Pilato disse loro di nuovo: Che cosa volete dunque che io faccia di quello che voi chiamate il re dei Giudei? Ed essi di nuovo gridarono: Crocifiggilo! Pilato diceva loro: Che male ha fatto? Ma essi gridarono più forte: Crocifiggilo!”.
La folla si lascia persuadere. D’altronde, se i capi dei sacerdoti ne chiedono la morte avranno le loro ragioni. Sono persone autorevoli, devote, religiose. Sapranno quello che fanno. A nessuno passa per la mente la semplice realtà: stanno condannando un innocente. A nessuno importa veramente chi sia o cosa voglia quel giudeo che, in effetti non ha commesso nessuna colpa.
La Torah che tutela l’innocente viene calpestata da coloro che avrebbero dovuto difenderla. Dal Libro dell’Esodo (23,6-7): “Non ledere il diritto del tuo povero nel suo processo. Ti terrai lontano da parola menzognera. Non far morire l’innocente e il giusto, perché io non assolvo il colpevole”.
E’ il potere delle urla e dei tumulti. L’arma finale della folla inferocita. Alla folla assetata di sangue viene concesso di tutto. E tutto viene perdonato, come visto mille volte nella storia, anche recente. Fantastico.
“LA VIA D’USCITA”
Sembra il copione di un film che si ripete in diverse epoche e a diverse latitudini. Bisogna tenere buono il popolino, non farlo arrabbiare, altrimenti sono guai. Gesù si è trovato nel posto sbagliato al momento sbagliato. Ma è davvero così? No. Il grande messaggio del Vangelo è che anche la folla può cambiare idea, rinsavire, convertirsi. E lo fa attraverso la presa di coscienza, personale e collettiva.
Gesù muore come è vissuto, esprime tale coerenza con il suo messaggio . Ma nel contempo indica con decisione l’errore che il popolo sta commettendo, sia verso chi lo sta portando al patibolo ma, anche, verso coloro che innalzano per lui un lamento. Dal Vangelo di Luca (23,27-30): “Lo seguiva una grande moltitudine di popolo e di donne, che si battevano il petto e facevano lamenti su di lui. Ma Gesù, voltandosi verso di loro, disse: Figlie di Gerusalemme, non piangete su di me, ma piangete su voi stesse e sui vostri figli. Ecco, verranno giorni nei quali si dirà: Beate le sterili, i grembi che non hanno generato e i seni che non hanno allattato. Allora cominceranno a dire ai monti: Cadete su di noi!, e alle colline: Copriteci! Perché, se si tratta cosi il legno verde, che avverrà del legno secco?”.
Non consola le figlie di Gerusalemme, le scuote. I condannati a morte erano accompagnati da una sorta di confraternita della buona morte, donne straziate che piangevano… donne pagate per disperarsi… Gesù non accetta questa farsa. Non gradisce le messinscena, solo apparentemente devote. Vuole conversione di cuore, perciò invita con forza le donne e la gran folla di popolo a interrogarsi. Gesù non asseconda la folla, ammonisce come ultimo gesto di amore e verità.
Non sempre chi ti da uno schiaffo desidera il tuo male. Non sempre chi ti accarezza ti vuole davvero bene. A volte chi ti ama ha il coraggio di farti rinsavire anche in modo “brutale” o almeno ci prova.
“PEDAGOGIA DIVINA” (1)
Troviamo la folla in un altro brano del Vangelo di Marco (10,46-52): “Gesù, mentre partiva da Gerico insieme ai suoi discepoli e a molta folla, il figlio di Timeo, Bartimeo, che era cieco, sedeva lungo la strada a mendicare. Sentendo che era Gesù Nazareno, cominciò a gridare e a dire: Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me! Molti lo rimproveravano perché tacesse, ma egli gridava ancora più forte: Figlio di Davide, abbi pietà di me! Gesù si fermò e disse; Chiamatelo! Chiamarono il cieco, dicendogli: Coraggio! Alzati, richiama! Egli , gettò via il suo mantello, balzò in piedi e venne da Gesù. Allora Gesù gli disse: Che cosa vuoi che io faccia per te? E il cieco gli rispose: Rabbì che io veda di nuovo! E Gesù gli disse: Va, la tua fede ti ha salvato. E subito vide di nuovo e lo seguiva lungo la strada”.
Bartimeo è cieco, mendica, è immobile, sta ai margini. Sente passare il Signore, grida la sua disperazione. E cosa fa la folla? Lo zittisce. Ritroviamo la folla anche nel Vangelo di Luca (19,3): “…Zaccheo, capo dei pubblicani e ricco, cercava di vedere chi era Gesù, ma non gli riusciva a causa della folla, perché era piccolo di statura. Allora corse avanti e, per riuscire a vederlo, salì su un sicomoro, perché doveva passare di lì”.
Anche con Zaccheo la folla fa muro impedendogli di veder passare Gesù. A volte, purtroppo, le nostre comunità cristiane diventano un muro, un ostacolo, impediscono a chi desidera incontrare Gesù di vederlo passare. Dobbiamo diventare albero, sicomoro, su cui chiunque possa arrampicarsi. Queste sono le Chiese, alberi che tendono verso l’alto, che permettono ai curiosi, ai cercatori, di salire per vedere Gesù. Non sta a noi decidere chi è degno di salire. Non sta a noi porre condizioni.
“PEDAGOGIA DIVINA” (2)
Riprendiamo la riflessione sui brani di Vangelo letti ieri sera. La folla zittisce Bartimeo, non deve disturbare. E’ cieco, cosa vuole ancora? Chissà quali peccati ha commesso per trovarsi in quella condizione? Che cosa vuole? Lo invitano a tacere ma, giustamente, Bartimeo grida a perdifiato. La sua voce supera il trambusto eccitato dei devoti che attorniano Gesù, che infine, lo sente. E che cosa fa? Chiede alla folla di andare a chiamare Bartimeo. Alla stessa folla che fino a un minuto prima lo invitava a tacere.
Con le donne di Gerusalemme Gesù aveva scosso, provocato, qui, invece, offre un’opportunità, responsabilizza, coinvolge. Si fida di loro, fa emergere la parte migliore della folla, che adempie alla missione in maniera straordinaria. Coraggio! Alzati! Ti chiama!
Coraggio! La prima parola da rivolgere a chiunque. Senza giudicare, argomentare, pregiudizi… Fare coraggio, invitare alla speranza, accogliere sempre.
Alzati! Non assecondiamo il vittimismo, invitiamo le persone ai margini a recuperare dignità, a riprendere in mano la propria vita, ad alzarsi.
Ti chiama! La ragione del coraggio, dell’alzarsi è perché prendiamo coscienza di essere chiamati a qualcosa di immensamente più grande, di importante, che ci restituisce dignità. Dio ci vuole collaboratori del suo progetto di salvezza.
Sono queste le parole che dobbiamo dire ai tanti Bartimeo che incontriamo sul nostro cammino. Solo questo.
“LA REDENZIONE”
La folla, durante il processo a Gesù, riveste un ruolo determinante. All’inizio, come abbiamo visto, si fa manipolare, indirizzare, condurre dai capi del popolo. Poco dopo, però, troviamo un’annotazione straordinaria. Gesù è in croce, i capi del popolo ancora lo insultano, come i soldati romani. La folla, invece sembra avere cambiato atteggiamento. Dal Vangelo di Luca (23,35): “Il popolo stava a vedere; i capi invece lo deridevano: Ha salvato altri! Salvi se stesso, se è lui il Cristo di Dio, l’eletto!”.
Ora tace, il popolo. Osserva, riflette, si lascia coinvolgere, Che cosa sta succedendo? Come sta morendo quest’uomo? Il finale è incredibile. Dal Vangelo di Luca (23,48): “Cosi pure tutta la folla che era venuta a vedere questo spettacolo, ripensando a quanto era accaduto, se ne tornava battendosi il petto…” .
Come se la folla fosse rinsavita, osservando, diventando spettatori, lasciandosi coinvolgere, avesse cambiato idea. Gesù non ha più la possibilità di ammonire, di scuotere, di predicare. Muore. Eppure quella morte vale più di mille parole.
Sì, anche la folla inferocita, eccitata, violenta, può cambiare. Ritorna sui suoi passi. Si converte. Forse il nostro sguardo, a volte troppo severo e pessimista sul mondo, può cambiare. Questo mondo che Gesù ama e che ha salvato è il luogo in cui siamo chiamati a vivere. E’ vero: la folla è inquietante. Ma davanti alla manifestazione dell’amore di Dio può cambiare. Bello.
“LEGGETE LA BIBBIA”
E’ l’invito che Papa Francesco rivolge ai giovani, nella lettera da cui è tratta la riflessione di questa sera. Scrive il Papa: «Miei cari giovani amici, se voi vedeste la mia Bibbia; direste: “Cosa? Questa è la Bibbia del Papa? Un libro cosi vecchio, cosi sciupato!” Potreste anche regalarmene una nuova; no, non la vorrei. Amo la mia vecchia Bibbia, che ha accompagnato metà delle mia vita. Ha visto la mia gioia, è stata bagnata dalle mie lacrime, è il mio inestimabile tesoro.
La Bibbia per giovani, che avete appena aperto è cosi vivace, così ricca di testimonianze, che fa venire voglia di leggerla tutta d’un fiato. E poi? La nascondete, sparisce sul ripiano di una libreria, si riempie di polvere… e poi nulla… finché i vostri figli la venderanno al mercatino dell’usato. No: questo non può essere!
In alcuni paesi, ancora oggi, ci sono cristiani che sono perseguitati, perché leggono la Bibbia e danno testimonianza di Cristo. Evidentemente la Bibbia è un libro estremamente pericoloso.
Gandhi, che non era cristiano, una volta disse: “A voi cristiani è affidato un testo che ha in sé una quantità di dinamite sufficiente per far esplodere in mille pezzi la civiltà tutta intera, per mettere sottosopra il mondo e portare la pace in un pianeta devastato dalla guerra. Lo trattate però come se fosse semplicemente un’opera letteraria, niente di più”.
Avete tra le mani qualcosa di divino, un libro come il fuoco, un libro dove Dio parla. Però ricordatevi: La Bibbia è fatta per essere letta spesso, ogni giorno. Leggetela con attenzione, domandatevi: “Cosa dice questo al mio cuore? Attraverso queste parole Dio mi sta parlando? Cosa devo fare? Solo così la Parola di Dio potrà dispiegare tutta la sua forza, solo così la nostra vita potrà trasformarsi, diventando piena e bella”.
Voglio confidarvi come leggo la Bibbia: spesso la prendo, la leggo un pò, poi la metto in disparte e mi lascio guardare dal Signore. Non sono io a guardare Lui, ma Lui guarda me. Dio è davvero lì, presente. A volte non parla: e allora non sento niente, solo vuoto, vuoto, vuoto… Ma, paziente attendo là, e lo attendo così, leggendo e pregando. Talvolta, pregando, persino mi addormento, ma non fa niente: sono come un figlio vicino a suo padre, e questo è ciò che conta.
Volete farmi felice? Leggete la Bibbia».
Vostro Papa Francesco.
Continuiamo le riflessioni lasciandoci condurre dalle parole di Papa Francesco nel documento “La gioia del Vangelo”, dal capitolo quinto: Evangelizzatori con Spirito.
259. Evangelizzatori con Spirito vuol dire evangelizzatori che si aprono senza paura all’azione dello Spirito Santo. A Pentecoste, lo Spirito fa uscire gli Apostoli da se stessi e li trasforma in annunciatori delle grandezze di Dio, che ciascuno incomincia a comprendere nella propria lingua. Lo Spirito Santo, inoltre, infonde la forza per annunciare la novità del Vangelo con audacia, a voce alta e in ogni tempo e luogo, anche controcorrente. Invochiamolo oggi, ben fondati sulla preghiera, senza la quale ogni azione corre il rischio di rimanere vuota e l’annuncio alla fine è privo di anima. Gesù vuole evangelizzatori che annuncino la Buona Notizia non solo con le parole, ma soprattutto con una vita trasfigurata dalla presenza di Dio.
261. Quando si afferma che qualcosa ha “spirito”, questo indicare di solito qualche movente interiore che dà impulso, motiva, incoraggia e dà senso all’azione personale e comunitaria. Un’evangelizzazione con spirito è molto diversa da un insieme di compiti vissuti come un pesante obbligo che semplicemente si tollera, o si sopporta come qualcosa che contraddice le proprie inclinazioni e i propri desideri. Come vorrei trovare le parole per incoraggiare una stagione evangelizzatrice più fervorosa, gioiosa, generosa, audace, piena d’amore fino in fondo e di vita contagiosa! Ma so che nessuna motivazione sarà sufficiente se non arde nei cuori il fuoco dello Spirito. In definitiva, un’evangelizzazione con spirito è un’evangelizzazione con Spirito Santo, dal momento che Egli è l’anima della Chiesa evangelizzatrice.
262. Evangelizzatori con Spirito significa evangelizzatori che pregano e lavorano. Occorre sempre coltivare uno spazio interiore che conferisca senso cristiano all’impegno e all’attività. Senza momenti prolungati di adorazione, di incontro orante con la Parola, di dialogo sincero con il Signore, facilmente i compiti si svuotano di significato, ci indeboliamo per la stanchezza e le difficoltà, e il fervore si spegne. La Chiesa non può fare a meno del polmone della preghiera.
Nello stesso tempo « si deve respingere la tentazione di una spiritualità intimistica e individualistica, che mal si comporrebbe con le esigenze della carità, oltre che con la logica dell’Incarnazione». C’è il rischio che alcuni momenti di preghiera diventino una scusa per evitare di donare la vita nella missione, perché la privatizzazione dello stile di vita può condurre i cristiani a rifugiarsi in qualche falsa spiritualità.
263. Vi è chi si consola dicendo che oggi è più difficile; tuttavia dobbiamo riconoscere che il contesto dell’Impero romano non era favorevole all’annuncio del Vangelo, né alla lotta per la giustizia, né alla difesa della dignità umana. In ogni momento della storia è presente la debolezza umana, la malsana ricerca di sé, l’egoismo comodo e, in definitiva, la concupiscenza che ci minaccia tutti. Tale realtà è sempre presente, sotto l’una o l’altra veste; deriva dal limite umano più che dalle circostanze. Dunque, non diciamo che oggi è più difficile; è diverso. Impariamo piuttosto dai santi che ci hanno preceduto ed hanno affrontato le difficoltà proprie della loro epoca.
264. La prima motivazione per evangelizzare, è l’amore di Gesù che abbiamo ricevuto, l’esperienza di essere salvati da Lui che ci spinge ad amarlo sempre di più. Però, che amore è quello che non sente la necessità di parlare della persona amata, di presentarla, di farla conoscere? Se non proviamo l’intenso desiderio di comunicarlo, abbiamo bisogno di soffermarci in preghiera per chiedere a Lui che torni ad affascinarci. Abbiamo bisogno d’implorare ogni giorno, di chiedere la sua grazia perché apra il nostro cuore freddo e scuota la nostra vita tiepida e superficiale. Posti dinanzi a Lui con il cuore aperto, lasciando che Lui ci contempli, riconosciamo questo sguardo d’amore che scoprì Natanaele il giorno in cui Gesù si fece presente e gli disse: « Io ti ho visto quando eri sotto l’albero di fichi » (Gv 1,48).
Che dolce è stare davanti a un crocifisso, o in ginocchio davanti al Santissimo, e semplicemente essere davanti ai suoi occhi! Quanto bene ci fa lasciare che Egli torni a toccare la nostra esistenza e ci lanci a comunicare la sua nuova vita! Dunque, ciò che succede è che, in definitiva, «quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunciamo » (1 Gv 1,3).
La migliore motivazione per decidersi a comunicare il Vangelo è contemplarlo con amore, è sostare sulle sue pagine e leggerlo con il cuore. Se lo accostiamo in questo modo, la sua bellezza ci stupisce, torna ogni volta ad affascinarci. Perciò è urgente ricuperare uno spirito contemplativo, che ci permetta di riscoprire ogni giorno che siamo depositari di un bene che umanizza, che aiuta a condurre una vita nuova. Non c’è niente di meglio da trasmettere agli altri.
265. Tutta la vita di Gesù, il suo modo di trattare i poveri, i suoi gesti, la sua coerenza, la sua generosità quotidiana e semplice, e infine la sua dedizione totale, tutto è prezioso e parla alla nostra vita personale. Ogni volta che si torna a scoprirlo, ci si convince che proprio questo è ciò di cui gli altri hanno bisogno, anche se non lo riconoscono: « Colui che, senza conoscerlo, voi adorate, io ve lo annuncio » (At 17,23).
A volte perdiamo l’entusiasmo per la missione dimenticando che il Vangelo risponde alle necessità più profonde delle persone, perché tutti siamo stati creati per quello che il Vangelo ci propone: l’amicizia con Gesù e l’amore fraterno.
Quando si riesce ad esprimere adeguatamente e con bellezza il contenuto essenziale del Vangelo, sicuramente quel messaggio risponderà alle domande più profonde dei cuori: «Il missionario è convinto che esiste già nei singoli e nei popoli, per l’azione dello Spirito, un’attesa anche se inconscia di conoscere la verità su Dio, sull’uomo, sulla via che porta alla liberazione dal peccato e dalla morte. L’entusiasmo nell’annunziare il Cristo deriva dalla convinzione di rispondere a tale attesa ». L’entusiasmo nell’evangelizzazione si fonda su questa convinzione.
Abbiamo a disposizione un tesoro di vita e di amore che non può ingannare, il messaggio che non può manipolare né illudere. È una risposta che scende nel più profondo dell’essere umano e che può sostenerlo ed elevarlo. È la verità che non passa di moda perché è in grado di penetrare là dove nient’altro può arrivare. La nostra tristezza infinita si cura soltanto con un infinito amore.
266. Non è la stessa cosa aver conosciuto Gesù o non conoscerlo, non è la stessa cosa camminare con Lui o camminare a tentoni, non è la stessa cosa poterlo ascoltare o ignorare la sua Parola, non è la stessa cosa poterlo contemplare, adorare, riposare in Lui, o non poterlo fare. Non è la stessa cosa cercare di costruire il mondo con il suo Vangelo piuttosto che farlo unicamente con la propria ragione. Sappiamo bene che la vita con Gesù diventa molto più piena e che con Lui è più facile trovare il senso di ogni cosa. È per questo che evangelizziamo. Il vero missionario, che non smette mai di essere discepolo, sa che Gesù cammina con lui, parla con lui, respira con lui, lavora con lui. Sente Gesù vivo insieme con lui nel mezzo dell’impegno missionario. Se uno non lo scopre presente nel cuore stesso dell’impresa missionaria, presto perde l’entusiasmo e smette di essere sicuro di ciò che trasmette, gli manca la forza e la passione. E una persona che non è convinta, entusiasta, sicura, innamorata, non convince nessuno.
267. Uniti a Gesù, cerchiamo quello che Lui cerca, amiamo quello che Lui ama. In definitiva, quello che cerchiamo è la gloria del Padre, viviamo e agiamo « a lode dello splendore della sua grazia » (Ef 1,6). Questo è il movente definitivo, il più profondo, il più grande, la ragione e il senso ultimo di tutto il resto. Si tratta della gloria del Padre, che Gesù ha cercato nel corso di tutta la sua esistenza. Se siamo missionari è anzitutto perché Gesù ci ha detto: « In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto » (Gv 15,8). Al di là del fatto che ci convenga o meno, che ci interessi o no, che ci serva oppure no, al di là dei piccoli limiti dei nostri desideri, della nostra comprensione e delle nostre motivazioni, noi evangelizziamo per la maggior gloria del Padre che ci ama.
Il piacere spirituale di essere popolo
268. La Parola di Dio ci invita anche a riconoscere che siamo popolo: « Un tempo voi eravate non-popolo, ora invece siete popolo di Dio » (1 Pt 2,10). La missione è una passione per Gesù ma, al tempo stesso, è una passione per il suo popolo. Quando sostiamo davanti a Gesù crocifisso, riconosciamo tutto il suo amore che ci dà dignità e ci sostiene, però, in quello stesso momento, se non siamo ciechi, incominciamo a percepire che quello sguardo di Gesù si allarga e si rivolge pieno di affetto e di ardore verso tutto il suo popolo. Così riscopriamo che Lui vuole servirsi di noi per arrivare sempre più vicino al suo popolo amato.
Quanto bene ci fa vederlo vicino a tutti! Se parlava con qualcuno, guardava i suoi occhi con una profonda attenzione piena d’amore: « Gesù fissò lo sguardo su di lui, lo amò » (Mc 10, 21). Lo vediamo aperto all’incontro quando si avvicina al cieco lungo la strada (cfr Mc 10,46-52) e quando mangia e beve con i peccatori (cfr Mc 2,16), senza curarsi che lo trattino da mangione e beone (cfr Mt 11,19). Lo vediamo disponibile quando lascia che una prostituta unga i suoi piedi (cfr Lc 7,36-50) o quando riceve di notte Nicodemo (cfr Gv 3,1-15).
Il donarsi di Gesù sulla croce non è altro che il culmine di questo stile che ha contrassegnato tutta la sua esistenza. Affascinati da tale modello, vogliamo inserirci a fondo nella società, condividiamo la vita con tutti, ascoltiamo le loro preoccupazioni, collaboriamo materialmente e spiritualmente nelle loro necessità, ci rallegriamo con coloro che sono nella gioia, piangiamo con quelli che piangono e ci impegniamo nella costruzione di un mondo nuovo, gomito a gomito con gli altri. Ma non come un obbligo, non come un peso che ci esaurisce, ma come una scelta personale che ci riempie di gioia e ci conferisce identità.
270. A volte sentiamo la tentazione di essere cristiani mantenendo una prudente distanza dalle piaghe del Signore. Ma Gesù vuole che tocchiamo la miseria umana, che tocchiamo la carne sofferente degli altri. Aspetta che rinunciamo a cercare quei ripari personali o comunitari che ci permettono di mantenerci a distanza dal nodo del dramma umano, affinché accettiamo veramente di entrare in contatto con l’esistenza concreta degli altri e conosciamo la forza della tenerezza. Quando lo facciamo, la vita ci si complica sempre meravigliosamente e viviamo l’intensa esperienza di essere popolo, l’esperienza di appartenere a un popolo.
271. È vero che, nel nostro rapporto con il mondo, siamo invitati a dare ragione della nostra speranza, ma non come nemici che puntano il dito e condannano. Siamo molto chiaramente avvertiti: « sia fatto con dolcezza e rispetto » (1 Pt 3,16), e « se possibile, per quanto dipende da voi, vivete in pace con tutti » (Rm 12,18). Siamo anche esortati a cercare di vincere « il male con il bene » (Rm 12,21), senza stancarci di « fare il bene » (Gal 6,9) e senza pretendere di apparire superiori ma considerando « gli altri superiori a se stesso » (Fil 2,3). Di fatto gli Apostoli del Signore godevano « il favore di tutto il popolo » (At 2,47; cfr 4,21.33; 5,13). Resta chiaro che Gesù Cristo non ci vuole come principi che guardano in modo sprezzante, ma come uomini e donne del popolo. Questa non è l’opinione di un Papa né un’opzione pastorale tra altre possibili; sono indicazioni della Parola di Dio così chiare, dirette ed evidenti che non hanno bisogno di interpretazioni che toglierebbero ad esse forza interpellante. Viviamole “sine glossa”, senza commenti. In tal modo sperimenteremo la gioia missionaria di condividere la vita con il popolo fedele a Dio cercando di accendere il fuoco nel cuore del mondo.
272. L’amore per la gente è una forza spirituale che favorisce l’incontro in pienezza con Dio fino al punto che chi non ama il fratello « cammina nelle tenebre » (1 Gv 2,11), « rimane nella morte » (1 Gv 3,14) e « non ha conosciuto Dio » (1 Gv 4,8). Benedetto XVI ha detto che « chiudere gli occhi di fronte al prossimo rende ciechi anche di fronte a Dio », e che l’amore è in fondo l’unica luce che « rischiara sempre di nuovo un mondo buio e ci dà il coraggio di vivere e di agire ».
Pertanto, quando viviamo la mistica di avvicinarci agli altri con l’intento di cercare il loro bene, allarghiamo la nostra interiorità per ricevere i più bei regali del Signore. Ogni volta che ci incontriamo con un essere umano nell’amore, ci mettiamo nella condizione di scoprire qualcosa di nuovo riguardo a Dio. Ogni volta che apriamo gli occhi per riconoscere l’altro, viene maggiormente illuminata la fede per riconoscere Dio.
L’impegno dell’evangelizzazione arricchisce la mente ed il cuore, ci apre orizzonti spirituali, ci rende più sensibili per riconoscere l’azione dello Spirito, ci fa uscire dai nostri schemi spirituali limitati.
Può essere missionario solo chi si sente bene nel cercare il bene del prossimo, chi desidera la felicità degli altri. Questa apertura del cuore è fonte di felicità, perché « si è più beati nel dare che nel ricevere » (At 20,35). Non si vive meglio fuggendo dagli altri, nascondendosi, negandosi alla condivisione, se si resiste a dare, se ci si rinchiude nella comodità. Ciò non è altro che un lento suicidio.
273. Io sono una missione su questa terra, e per questo mi trovo in questo mondo. Bisogna riconoscere sé stessi come marcati a fuoco da tale missione di illuminare, benedire, vivificare, sollevare, guarire, liberare. Lì si rivela l’infermiera nell’animo, il maestro nell’animo, il politico nell’animo, quelli che hanno deciso nel profondo di essere con gli altri e per gli altri. Tuttavia, se uno divide da una parte il suo dovere e dall’altra la propria vita privata, tutto diventa grigio e andrà continuamente cercando riconoscimenti o difendendo le proprie esigenze. Smetterà di essere popolo.
274. Per condividere la vita con la gente e donarci generosamente, abbiamo bisogno di riconoscere anche che ogni persona è degna della nostra dedizione. Non per il suo aspetto fisico, per le sue capacità, per il suo linguaggio, per la sua mentalità o per le soddisfazioni che ci può offrire, ma perché è opera di Dio, sua creatura. Egli l’ha creata a sua immagine, e riflette qualcosa della sua gloria. Ogni essere umano è oggetto dell’infinita tenerezza del Signore, ed Egli stesso abita nella sua vita. Gesù Cristo ha donato il suo sangue prezioso sulla croce per quella persona.
Al di là di qualsiasi apparenza, ciascuno è immensamente sacro e merita il nostro affetto e la nostra dedizione. Perciò, se riesco ad aiutare una sola persona a vivere meglio, questo è già sufficiente a giustificare il dono della mia vita. È bello essere popolo fedele di Dio. E acquistiamo pienezza quando rompiamo le pareti e il nostro cuore si riempie di volti e di nomi!
284. Con lo Spirito Santo, in mezzo al popolo sta sempre Maria. Lei radunava i discepoli per invocarlo (At 1,14), e così ha reso possibile l’esplosione missionaria che avvenne a Pentecoste. Lei è la Madre della Chiesa evangelizzatrice e senza di lei non possiamo comprendere pienamente lo spirito della nuova evangelizzazione.
288. Vi è uno stile mariano nell’attività evangelizzatrice della Chiesa. Perché ogni volta che guardiamo a Maria torniamo a credere nella forza rivoluzionaria della tenerezza e dell’affetto. In lei vediamo che l’umiltà e la tenerezza non sono virtù dei deboli, ma dei forti, che non hanno bisogno di maltrattare gli altri per sentirsi importanti.
Guardando a lei scopriamo che colei che lodava Dio perché « ha rovesciato i potenti dai troni » e « ha rimandato i ricchi a mani vuote » (Lc 1,52.53) è la stessa che assicura calore domestico alla nostra ricerca di giustizia. È anche colei che conserva premurosamente « tutte queste cose, meditandole nel suo cuore » (Lc 2,19).
Maria sa riconoscere le orme dello Spirito di Dio nei grandi avvenimenti ed anche in quelli che sembrano impercettibili. È contemplativa del mistero di Dio nel mondo, nella storia e nella vita quotidiana di ciascuno e di tutti. È la donna orante e lavoratrice a Nazareth, ed è anche nostra Signora della premura, colei che parte dal suo villaggio per aiutare gli altri « senza indugio »(Lc 1,39).
Questa dinamica di giustizia e di tenerezza, di contemplazione e di cammino verso gli altri, è ciò che fa di lei un modello ecclesiale per l’evangelizzazione. Le chiediamo che con la sua preghiera materna ci aiuti affinché la Chiesa diventi una casa per molti, una madre per tutti i popoli e renda possibile la nascita di un mondo nuovo. È il Risorto che ci dice, con una potenza che ci riempie di immensa fiducia e di fermissima speranza: « Io faccio nuove tutte le cose » (Ap 21,5). Con Maria avanziamo fiduciosi verso questa promessa.
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